Giorgio Finocchio

di Giorgio Finocchio*

È apparsa quantomeno singolare l’assenza di una riflessione a seguito delle vicissitudini finanziarie della Diocesi di Terni. Il dibattito si è limitato alla cronaca dei fatti giudiziari, alle eventuali singole responsabilità, alla difesa pregiudiziale e assoluta compiuta da autorevoli esponenti e al tentativo di delimitare il confine degli avvenimenti ai rapporti interni della sfera ecclesiastica.

Fuori da logiche giustizialiste e/o garantiste, è un dovere della pubblica opinione cercare di interpretarne il contesto partendo dalla presenza attiva nutrita di forti relazioni e dall’azione pubblica che la Diocesi ha svolto. Non è nostra intenzione soffermarci sulle responsabilità pubbliche della Chiesa o di monsignor Paglia in particolare. Anzi a noi interessa rovesciare il ragionamento: analizzare e valutare i ruoli dei ceti dirigenti e istituzionali della città partendo da questa emblematica vicenda.

Questo per tentare di fare, come si dice in marina, il punto: per capire esattamente dove siamo con quale coordinate ci siamo arrivati e quale rotta intendiamo prendere per il futuro. Negli anni 1999-2000 in Umbria si ha un avvicendamento nelle istituzioni, con l’emergere di una classe dirigente che governerà fino ai nostri giorni.
È del 2000 l’arrivo in città di monsignor Paglia. Un personaggio di assoluto rilievo: arriva a Terni dopo numerose missioni internazionali. A chi lo ascolta per la prima volta appare per quello che è: principalmente un uomo politico, con la croce sul collo. E come tale si muoverà lungo tutta la durata del suo mandato. Paglia vanta grandi entrature a Roma nei poteri: i personaggi politici di centro-destra e centro-sinistra nazionali che visitano la città per iniziative politiche hanno come prima tappa obbligata via del Vescovado.

Fra le istituzioni e la Diocesi si sviluppano all’inizio degli ottimi rapporti di vicinato frutto di vicendevoli interessi. Tuttavia il pontificale annuale di San Valentino si trasforma, anno dopo anno, in attacchi molto violenti da parte del vescovo Paglia alla classe dirigente. La cosa che mi ha sempre colpito di queste orazioni non era l’atteggiamento del prelato, oramai dopo anni di ripetizione scontato, ma l’atteggiamento dei rappresentanti istituzionali, ai massimi livelli, anno dopo anno, a testa china, già consapevoli di prendere manrovesci da un padre troppo forte. Ma come mai questa classe dirigente non riusciva neanche a tenere la schiena dritta ad avere un naturale sussulto di dignità? Quale messaggio avrebbero dovuto comprendere i cittadini, gli imprenditori, rispetto alla gerarchia dei ruoli? L’assenza di reazione nascondeva la subalternità culturale e politica.

Nella primavera del 2008, ad un anno dalle elezioni amministrative, Paglia decide che è giunto il momento di provare a far saltare il banco: il convegno sulla “comune responsabilità” diventa nei fatti un tentativo di mettere le “mani sulla città”. Ricordo mesi di estenuanti e inutili discussioni anticipatrici e successive all’evento che videro impegnati praticamente tutti, come colti dal pizzico di una tarantola. All’epoca ero segretario del PD e dissi che non mi convincevano le modalità sfarzose, affermavo che i ruoli fra Chiesa e istituzioni dovevano rimanere autonomi, sostenevo che la città avrebbe misurato il suo futuro sulla «qualità delle relazioni sociali, economiche e politiche». Da segretario del maggior partito di governo della città non fui invitato al convegno.

Ebbi poi un solo colloquio con monsignor Paglia: colloquio politico, in cui gli chiesi di sostenere la candidatura a sindaco del cattolico più illustre, Enrico Micheli, che la città poteva vantare. Paglia mi fece capire che non era il caso e che comunque lui nutriva idee diverse. Con il senno di poi rimango convinto che nel rifiuto di Micheli l’atteggiamento freddo della chiesa ternana contò in misura tanto rilevante quanto i molteplici inviti istituzionali a non occuparsi della cosa pubblica che ricevette.

Dobbiamo però arrivare al punto: i poteri che hanno guidato e influenzato la città, di cui l’azione di monsignor Paglia negli anni è stata importante ma non certamente l’unica hanno migliorato la “qualità delle relazioni” o le relazioni si sono meridionalizzate? Si è sviluppato e favorito il pensiero critico, il principale strumento di confronto e di crescita intellettuale? È stata premiata la competenza o sono prevalsi i criteri della fedeltà, dell’invadente ignoranza e arroganza della cosa pubblica estesa a molti settori? Si è concesso terreno fertile per i ‘Batman’ nostrani alla ricerca di un consenso individuale sradicato da qualsiasi idea e progetto? La ricerca del consenso personale e di gruppo ha assunto i caratteri permanenti del baratto? La politica ha favorito questo stato di cose. Oggi non stiamo sfidando il mare aperto alla ricerca di nuove rotte, ma solchiamo un terreno paludoso dove il rischio è quello di rimanere intrappolati a lungo.

Thyrus et amnis … il drago e le acque simboli di Terni: di acque melmose se ne vedono molte, di draghi in giro purtroppo pochi. Occorrerebbe una scossa, un sussulto dei cuori e della ragione, un ritorno alla serietà e dignità della politica. Papa Francesco ai laici dice: «La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire». Morale (im)possibile?

* Presidente del consiglio comunale di Terni

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