Prosegue il percorso di avvicinamento di Umbria24 ai Campionati mondiali di calcio, che partiranno il 12 giugno. Vivremo il countdown con 11 puntate dello speciale ‘Aspettando Brasile 2014′: un percorso tra storia, aneddoti, curiosità con la speranza che sia di buon auspicio per gli Azzurri

ASPETTANDO BRASILE 2014: TUTTE LE PUNTATE

BRASILE 2014: CALENDARIO COMPLETO

di Leo Forleo

Alla fine, dopo diversi tentativi, mi sono arreso. Spiegare cosa vuol dire essere un Tifoso, un vero Tifoso (in particolare di calcio) a qualcuno che non lo è, è impresa ardua. Spiegare il perché di tutte le sofferenze, i dispiaceri e le gioie che viviamo (a volte, obiettivamente, con modalità esagerate), il perché ci sobbarchiamo di sacrifici e sperperiamo soldi e tempo per andare a seguire i nostri beniamini in giro per l’Italia e, i più fortunati, in giro per l’Europa, è veramente dura. A maggior ragione oggi, con tutte le storie di calcio-scommesse, di truffe e imbrogli fatti soprattutto alle nostre spalle, non è facile spiegare il perché resista questa passione.

Sì, perché il tifoso è qualcuno che vive di una tremenda e sincera passione. E, badate bene, sto parlando di semplici tifosi, non di ultrà (il discorso sarebbe molto più complesso), sto parlando di uomini e donne che vivono vite tra le più diverse ma che poi la domenica (almeno, una volta era la domenica…) si ritrovano per condividere questa grande passione, accomunati dalla “fede” per una squadra di calcio, per una maglia, per dei colori.

Il Tifoso (oggi fin troppo bistrattato e boicottato da pay-tv, leggine, divieti, stadi chiusi e tessere assolutamente inutili), secondo me prova invece un sentimento nobile. Addirittura, direte voi. Sì, perché in una società come quella di oggi dove regna sovrano l’interesse personale, nella vita di tutti i giorni come nel lavoro come anche nelle amicizie, il Tifoso vive un sentimento assolutamente disinteressato e, per questo, sincero. Cosa ne ricaviamo da questa passione che ci fa gioire ma spesso ci fa terribilmente soffrire? Nulla, assolutamente nulla. Ma per noi, alle volte, l’emozione di un gol, di una a vittoria, di vedere la propria squadra affermarsi (soprattutto la squadra della propria città!), poter condividere tutto questo con persone a noi care o anche con perfetti sconosciuti è qualcosa di impagabile e inspiegabile (e, probabilmente, incomprensibile).

Ricordo che tempo fa, in Danimarca, un network televisivo svolse una semplice ma divertente inchiesta tra i tifosi di calcio danesi su quale fosse la partita più bella e memorabile della propria Nazionale. Naturalmente, le partite più votate furono quelle che avevano portato la Danimarca a vincere inaspettatamente e incredibilmente l’Europeo del 1992, in particolare la semifinale vinta ai rigori con l’Olanda (la fortissima nazionale campione uscente che schierava i vari Rijkaard, Gullit, Van Basten, …) e, ovviamente, la finale vinta coi tedeschi Campioni del Mondo in carica. Ma un tifoso intervistato menzionò il Quarto di Finale del Mondiale di Francia’98, quando la Danimarca affrontò e fu eliminata dal favoritissimo Brasile. Ricordo che l’intervistatore, preparatissimo, annuì dicendo che effettivamente fu una partita emozionante soprattutto perché quello era il miglior risultato mai ottenuto dalla Nazionale ad un Campionato del Mondo e poi perché la Danimarca passò addirittura in vantaggio contro i verde-oro. Ma, incalzò il giornalista, il Brasile pareggiò dopo nemmeno 10 minuti ed alla fine fu una sconfitta per la Danimarca e, allora, perché ritenere una sconfitta la partita più bella e memorabile nella storia della Nazionale? Il tifoso ci pensò un po’ su e poi rispose candidamente: perché ero lì allo stadio di Nantes con i miei amici, perché avevamo le nostre sciarpe e le nostre bandiere e cantammo più dei brasiliani e poi… quei 10 minuti…

Ecco, a sentire quelle parole mi vennero i brividi e pensai: quel ragazzo ha racchiuso in una semplice frase il concetto di cosa vuol dire essere tifosi, di cosa sono le emozioni che questo sport può dare, a prescindere dai risultati che si ottengono. Di quella sana follia che ti fa dimenticare la sconfitta e ti fa ricordare solo l’incredibile gioia di un gol, di un vantaggio, anche se momentaneo.

E come spiegare questo a chi il calcio non lo segue e non è tifoso? Impossibile.

Me la ricordo bene quella partita, non tanto per la partita in sé, ma per il giorno: infatti, in quel 3 Luglio del 1998, nel pomeriggio, la nostra Nazionale, ancora una volta ai calci di rigore, veniva buttata fuori dal Torneo dai padroni di casa della Francia che poi avrebbero vinto i Campionati. Ebbene sì, dopo il ‘90 ed il ‘94, i rigori ci furono ancora fatali. Quante volte avrei ricordato quegli istanti fatali e quante volte addirittura avrei risentito nelle mie orecchie quel suono terribile, quel suono così nitido e feroce della traversa colpita violentemente dal pallone calciato da Di Biagio in un silenzio quasi irreale seguito immediatamente dal boato di gioia degli 80mila del Saint Denis. Non ci potevo credere: per la terza volta consecutiva venivamo eliminati ai rigori. Maledetti rigori.

Eppure quella sera, nonostante la delusione cocente e la serata estiva che invogliava a uscire, mi misi davanti alla televisione a vedere come se la cavavano i verde-oro che incrociavano i danesi in un Quarto di Finale dal risultato scontato. Ma, a dispetto dei pronostici, non fu proprio un match semplice e poco dopo l’inizio i biancorossi erano addirittura in vantaggio! Infatti, al secondo minuto di gioco, Brian Laudrup si fiondava in area avversaria dalla sinistra e metteva al centro dove Martin Jorgensen (attaccante dell’Udinese) sorprendeva la difesa brasiliana e segnava. Incredibile. I campioni in carica, effettivamente, non impiegarono molto tempo a ristabilire la parità e già al decimo minuto Bebeto, servito splendidamente da Ronaldo, “bucava” la retroguardia danese e firmava il pari. I brasiliani premevano sull’acceleratore e dopo altri 15 minuti, come previsto, passavano in vantaggio: una leggerezza della difesa della Danimarca permetteva a Ronaldo di vestire ancora i panni di assist-man e servire in area Rivaldo che controllava e, con un tocco delizioso, batteva l’incolpevole portierone Peter Schmeichel. 2-1 e tutto in discesa per i sudamericani. Il primo tempo scivolò via, infatti, senza quasi nessun altro sussulto. Al rientro in campo dopo l’intervallo Dunga e compagni sembravano un po’ troppo sicuri e i danesi, incitati dai propri commoventi tifosi, ci provarono. E, al quinto minuto di quel secondo tempo, Brian Laudrup (fratello del più famoso Michael che era il capitano di quella Nazionale), complice l’incredibile svarione di un difensore avversario, con un gran tiro di destro gonfiava la rete avversaria facendo impazzire di gioia i propri sostenitori. Pareggio! Ma ci vollero ancora circa 10 minuti (sempre i famosi 10 minuti…) per permettere ai brasiliani di rimettere le cose a posto: ancora Rivaldo, questa volta con un bolide da fuori area, segnava il definitivo 3-2. Brasile in semifinale e Danimarca a casa ma applauditissima dai propri tifosi che, anche se per poco, avevano accarezzato il sogno di centrare un’impresa.

Quel Brasile sembrava destinato alla vittoria: arrivò, infatti, in Finale dove incontrò i padroni di casa della Francia. Ma, nell’immediata vigilia della Finale, successe qualcosa al loro campionissimo Ronaldo, qualcosa di misterioso ed ancora oggi ignoto, che impedì all’attaccante brasiliano di giocare ai livelli ai quali c’eravamo abituati vederlo giocare e ai suoi compagni di avere la serenità di affrontare come si deve una Finale dei Campionati del Mondo. Finale che, infatti, fu vinta dai francesi. Ma questa è un’altra storia.

Questo contenuto è libero e gratuito per tutti ma è stato realizzato anche grazie al contributo di chi ci ha sostenuti perché crede in una informazione accurata al servizio della nostra comunità. Se puoi fai la tua parte. Sostienici

Accettiamo pagamenti tramite carta di credito o Bonifico SEPA. Per donare inserisci l’importo, clicca il bottone Dona, scegli una modalità di pagamento e completa la procedura fornendo i dati richiesti.