Il Consiglio di Stato

di Daniele Bovi

Una donna in giunta ci vuole: il Consiglio di Stato, con una sentenza emessa giovedì, ha accolto il ricorso fatto dalle opposizioni e da alcune associazioni stabilendo che lo statuto comunale «impone, quanto meno, la presenza di almeno una donna» dentro l’esecutivo guidato dal sindaco Claudio Ricci. La vicenda va avanti da giugno 2012, quando il Tar dell’Umbria boccia la giunta tutta al maschile; poi, nel giugno 2013, i giudici amministrativi ribaltano tutto e accolgono il ricorso di Ricci stabilendo la legittimità delle scelte del sindaco. Giovedì però arriva la parola fine posta dalla Quinta sezione del Consiglio di Stato che, oltre a condannare il Comune al pagamento di seimila euro a favore di coloro che hanno fatto ricorso, annulla anche il decreto di nomina degli assessori.

La seconda sentenza Nel giugno 2013, bocciando l’appello, i giudici amministrativi scrivevano che «l’invocato art. 51, comma 1, della Costituzione, sul principio della cosiddetta parità democratica nella rappresentanza, contiene una previsione priva di cogenza piena»; inoltre la norma dello statuto comunale (l’articolo 30) con la quale si dispone che sia assicurata la presenza di entrambi i sessi, rappresenta secondo quel pronunciamento «un limite conformativo, seppure elastico, alla composizione della giunta». Insomma, al massimo leggi e statuto promuovono, ma non garantiscono, la presenza di una donna in giunta, lasciando così al sindaco piena discrezionalità politica a proposito di chi scegliere.

La nuova sentenza Un’interpretazione quasi identica a quella data dai giudici nella nuova sentenza di giovedì, tranne che su un punto decisivo. Se, infatti, quanto alla norma costituzionale e a quelle internazionali queste non si traducono in alcun obbligo concreto, secondo il Consiglio l’articolo 30 dello statuto stabilendo che «il sindaco nomina il vicesindaco e gli assessori prima dell’insediamento del Consiglio comunale, assicurando di norma la presenza di ambo i sessi», «pone un vincolo specifico che ostacola particolarmente ed intensamente la nomina di una giunta monogenere». L’articolo 30 non è quindi una «regola opzionale, che può essere disattesa per ragioni di carattere politico», bensì un «vincolo specifico di rilievo costituzionale che ammette deroghe soltanto in via eccezionale».

Il sindaco spieghi Non c’è scampo dunque: se non la garanzia di una «sostanziale parità dei generi», quantomeno un assessore rosa deve essere nominato. Pertanto «il sindaco deve dare conto, per motivi obiettivi – è scritto nella sentenza -, di essere stato impossibilitato a garantire l’effettiva parità dei generi ossia la presenza di un numero di donne tendenzialmente pari a quello degli uomini nella giunta, pena la violazione della citata norma statutaria, attuativa di una garanzia costituzionale, garantita anche a livello internazionale». Da ultimo il Consiglio ricorda a Ricci, in piena campagna elettorale per le regionali 2015 e che quindi lascerà il palazzo comunale un anno prima della scadenza naturale,  che gli assessori possono essere scelti non solo tra i candidati dei partiti bensì tra tutti i cittadini: «Assessori che svolgono – è scritto – delicate ed importanti funzioni non al servizio del partito di riferimento, ma al servizio della cittadinanza».

Twitter @DanieleBovi

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