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Discarica di Borgogiglione

di Enzo Beretta e Daniele Bovi

Parla di una «gestione illecita» di 145 mila tonnellate di rifiuti (124 urbani e 21 speciali) avvenuta tra il 2010 e il 2015 la Procura di Perugia che ha coordinato l’inchiesta «Spazzatura d’oro» della guardia di finanza e del Corpo forestale dell’Umbria. L’indagine della Direzione distrettuale antimafia ha portato all’arresto di Giuseppe Sassaroli, 66 anni, originario di Cupramontana, direttore tecnico di Gesenu dal lontano 1980 e dal 2009 dg con delega all’ambiente. Secondo l’avvocato David Brunelli «non c’è nulla di nuovo rispetto a un anno e mezzo fa e gli arresti domiciliari sono stati adottati una volta andati via i commissari prefettizi». Nel frattempo, però, il pm Valentina Manuali ha quantificato un «ingiusto profitto» di oltre 20 milioni di euro.

Le discariche di Pietramelina, Ponte Rio e Borgogliglione Sassaroli, «organizzatore e promotore» della presunta associazione per delinquere composta da 11 dei 14 indagati, «si occupa in prima persona di organizzare il traffico illecito di rifiuti nelle discariche di Pietramelina, Ponte Rio (gestite da Gesenu Spa, azienda partecipante in Gest Srl) e Borgogiglione (impianto gestito da Tsa Spa)». Un’attività che danneggiato i comuni partecipanti all’Ati2 della provincia di Perugia perché «non sono state eseguite le operazioni di trattamento e recupero della Forsu/Fou, in particolare il processo di biostabilizzazione e compostaggio».

FOTOGALLERY: SEQUESTRATO IL BIOREATTORE DI BORGOGIGLIONE

Gesenu, un ingiusto profitto da 20,9 milioni di euro Nell’ordinanza del gup Alberto Avenoso è spiegato che a causa delle «condotte illecite» commesse da Sassaroli insieme a Luca Rotondi (responsabile operativo di Borgogiglione), Giuliano Cecili (direttore gestionale di Pietramelina e Ponte Rio), Luciano Sisani (Tsa) e Roberto Damiano (Gesenu) sono «venuti meno gli obblighi contrattuali assunti con i Comuni di Assisi, Bastia Umbra, Bettona, Cannara, Castiglione del Lago, Città della Pieve, Collazzone, Corciano, Deruta, Fratta Todina, Lisciano Niccone, Magione, Marsciano, Massa Martana, Monte Castello di Vibio, Paciano Panicale, Passignano sul Trasimeno, Perugia, Piegaro, San Venanzo, Todi, Torgiano, Tuoro sul Trasimeno e Valfabbrica». «Si facevano pagare ugualmente la fornitura del servizio pubblico e di pubblica utilità di trattamento e recupero previsti dal piano d’ambito dell’Ato2, poi Ati2 affidato in appalto – attacca la Procura – ma di fatto non veniva eseguito». Gli enti locali territoriali, committenti del servizio di gestione integrata dei rifiuti, che «pagavano servizi per trattamento e recupero in realtà non effettuati, sarebbero stati dunque «indotti in errore» e l’«ingiusto profitto» per Gesenu «corrispondente al danno subìto dalle amministrazioni comunali» è stato quantificato in 20,9 milioni di euro.

Le intimidazioni agli operai «Pressioni intimidatrici» sarebbero state adottate nei confronti degli operai da Giuliano Cecili che si sarebbe adoperato «per non far conoscere a terze persone le condotte illecite». E’ Cecili «in prima persona e mediante ordini ai sottoposti a gestire illecitamente i rifiuti all’interno della discarica». La Procura ha depositato al gip una richiesta di 600 pagine in cui vengono elencate le «numerose condotte penalmente rilevanti e strettamente interconnesse sull’operato di Gesenu, Tsa e altri soggetti nella gestione del servizio integrato dei rifiuti urbani, assimilati e speciali». Avenoso ha concluso mettendo nero su bianco l’esistenza di «gravi indizi di colpevolezza» nei confronti di Sassaroli.

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Monnezza in più anche dalla Campania e dal Lazio Attraverso «false certificazioni di analisi, falsi formulari e registri di accompagnamenti rifiuti» Sassaroli, Damiano, Cecili e Silvio Marano (addetto all’impianto di trattamento del percolato di Pietramelina) sono riusciti a farsi «autorizzare nel 2008 una capacità annua di smaltimento pari a 105 mila tonnellate, più che doppia rispetto alle 44 mila di effettiva capacità di trattamento stimata», un «valore assolutamente ingiustificato alla luce della mancata riconversione dell’impianto per aumento di produttività». Per «introitare proventi dal trattamento simulato» nell’impianto sono arrivate 380 mila tonnellate in cinque anni, fittiziamente sottoposte a recupero ma in realtà smaltite in discarica simulando trattamenti di biostabilizzazione e compostaggio non effettuati». Questo ha significato «un’elevata produzione di percolato e del suo concentrato, gestito e smaltito illegalmente» provocando un «danno ambientale». Fino all’estate 2013 – è emerso dalle indagini – una parte dei rifiuti «veniva ricaricata negli automezzi e smaltita direttamente in discarica senza subire alcun trattamento, mentre dall’agosto 2013, a seguito della chiusura della discarica di Pietramelina, i rifiuti venivano inviati per mezzo della falsa codifica di scarti nella discarica di Borgogiglione, scrivendo o facendo scrivere nei formulari che accompagnavano i rifiuti e nei registri di carico-scarico soggetti al controllo dell’autorità amministrativa e giudiziaria, operazioni di recupero e/o smaltimento non corrispondenti al vero, sia riguardo la natura del rifiuto per contenuto organico e sia riguardo l’identificazione del rifiuto stesso mediante Cer; ciò al fine di realizzare ingiusto profitto derivante dai maggiori introiti ricavati dalla gestione dei rifiuti ricevuti (anche da altre regioni come la Campania e il Lazio) in eccesso rispetto alla reale potenzialità dell’impianto».

La «saracinesca» nel torrente, il percolato nel bosco e il pozzetto La quantità stimata di concentrato «abusivamente smaltito» a Pietramelina ammonta a 49 mila tonnellate dal 2010 al 2015, «derivanti dal trattamento in loco del percolato, in particolare facendo ‘ricircolare’ il concentrato nel corpo di discarica senza avere alcuna autorizzazione». Quando Cecili era direttore gestionale – fino all’ottobre 2013, è spiegato – il percolato veniva smaltito tramite una «saracinesca» che veniva aperta causando lo scarico diretto nel torrente Covile (affluente del Mussino). Ciò avrebbe consentito di conseguire un «ingiusto profitto di almeno 12,8 milioni di euro «relativo ai ricavi per i quantitativi abusivamente gestiti, ai costi non sostenuti per il corretto trattamento dei rifiuti non recuperati negli impianti, per l’omessa biostabilizzazione e compostaggio e per l’illecito smaltimento del concentrato di percolato». Quest’ultimo, a Pietramelina, è fuoriuscito dal perimetro della discarica fino a raggiungere un bosco. L’«operazione abusiva di ricircolo del concentrato di percolato» avrebbe comportato un «autosmaltimento abusivo nello stesso corpo della discarica di rifiuti liquidi». Sassaroli, Cecili e Damiani vengono anche accusati di aver smaltito il «percolato prodotto dal corpo discarica tramite una canaletta abusiva collegata a un pozzetto di raccolta».

«Il chimico analizzava acqua della fontanella anziché reflui» Presunti illeciti sarebbero stati svolti anche nel laboratorio di analisi Erica Srl dove il titolare, Antonio Presilla, «alterava il rifiuto da analizzare dando disposizioni di prelevare il campione con accorgimenti tali da escludere la presenza di elementi inquinanti»: venivano omessi «i rifiuti potenzialmente pericolosi come le guaine catramate e i materiali intrisi di olio o polvere». Il chimico avrebbe anche «alterato il campionamento delle acque reflue provenienti dall’impianto di Tordibetto gestito dai fratelli Baldini»: l’acqua analizzata era pulita perché proveniva da «una fontanella».

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2 replies on “Umbria, inchiesta Gesenu: le accuse del pm. ‘Monnezza’ in più da Lazio e Campania”

  1. Quindi ora aspettiamo di conoscere quanto ci verra’ scontato sulle prossime tasse della spazzatura, perche’ il danno subito dai cittadini non puo’ essere compensato solo dal processo a questi signori che tra ricorsi, appelli e prescrizionenon faranno nemmeno un giorno di carcere

    1. Hai ragione, ma i soldi non bastano. Il danno ambientale -il più importante- si ripercuote sulla salute dei cittadini per quello che mangiamo, beviamo e respiriamo. Non è possibile che questi abbiano operato così per anni senza che vertici istituzionali sapessero, a cominciare da chi fa controllo sul territorio. Il laboratorio di chimica, se è vero quello che leggo, è inquietante…si definiscono anche esperti di “ecologia, ricerca e consulenza ambientale”. Pazzesco.

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