di Francesca Marruco

Il prelievo di Dna eseguito sul figlio di Raffaella Presta «è stato acquisito in violazione dei divieti stabiliti dal codice di procedura penale e pertanto è inutilizzabile», «non rispetta i requisiti minimi dei protocolli internazionali in materia di prelievo di tracce biologiche» e quindi non può essere attendibile, e,«anche se fosse utilizzabile», «non può un accertamento tecnico svolto dopo l’omicidio rappresentare un elemento di riscontro della versione fornita dall’indagato» sul motivo scatenante dell’omicidio stesso.

Serviva ok di un giudice I giudici Narducci, Semeraro e Verola bacchettano senza mezzi termini la decisione della difesa di Francesco Rosi di prelevare la saliva dalla bocca del piccolo senza preventiva autorizzazione di un giudice, che per i togati del Riesame, era l’unico che eventualmente avrebbe potuto autorizzarlo. Non solo, il fatto che il bambino fosse a casa della zia e il padre – come sostenuto dalla difesa – avesse ancora tecnicamente la patria potestà, non è elemento sufficiente a fargli autorizzare il prelievo, e questo perché tra i due, in questo momento c’è un «evidente conflitto di interessi» avendo Rosi ucciso la madre del bambino.

Non è questo il punto E comunque, anche quando l’esame fosse stato fatto rispettando tutte le norme e le prescrizioni in materia di genetica forense – i giudici citano anche il caso Kercher dicendo che «l’analisi comparativa del dna svolta in violazione delle regole procedurali prescritte» -, anche quando il risultato fosse vero, non può essere quello la prova principe della difesa. Semplicemente perché quando la vittima gli avrebbe detto che quello non era suo figlio, lui non poteva saperlo con certezza.

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Eccezionalmente pericoloso E quindi, da tesi difensiva, diventa un boomerang. I giudici dicono infatti che Rosi è «eccezionalmente pericoloso e può tornare ad uccidere, ammazzando persone che lo oltraggiano pesantemente o lo feriscono verbalmente».«L’indagato – è ancora il Reisame – considera le persone a lui vicine come oggetti di sua proprietà, oggetti di cui servirsi ed abusare e infine, se del caso, sbarazzarsi».

L’atto finale Come accaduto con la moglie Raffaella che, anche secondo i giudici della Libertà, è stata vittima dei maltrattamenti del marito ed è stata uccisa al culmine di un crescendo di abusi. Molto probabilmente quando lei il giorno prima di essere ammazzata ha parlato al marito della separazione che lei credeva avesse metabolizzato. E lui invece era rimasto fedele a quanto le aveva detto un mese prima: «Atto finale ma mai la separazione».