di Francesca Marruco
Fine pena mai. Tre ergastoli. Per tre persone che hanno ucciso, infierendo su un uomo con le mani legate che provò a ribellarsi per salvare la sua donna da una violenza sessuale certa. Le richieste di condanna per l’omicidio del bancario perugino Luca Rosi, ammazzato da tre rumeni durante una rapina in casa del padre a Ramazzano, sono arrivate lunedì mattina al termine di una requisitoria dura e ragionata, in cui i tre pubblici ministeri Antonella Duchini, Mario Formisano e Giuseppe Petrazzini, hanno ricostruito tutto l’accaduto spiegando perchè, nonostante il rito abbreviato, la pena per tre uomini che uccidono un giovane dopo essergli piombati in casa per rapinarlo, aver terrorizzato lui e la sua famiglia, deve essere comunque l’ergastolo. Chiesti invece 20 anni di reclusione per il basista Catalin Simionescu.
Tre ergastoli Tre ergastoli dunque per Iulian Ghiorghita, per Aurel Rosu e per Dorel Gheorghita. Perché il primo gli ha sparato contro con la pistola che la banda aveva rapinato a casa di Sergio Papa un mese prima, dopo aver stuprato la suocera. Il secondo perché, nonostante nelle mani impugnasse una pistola che poteva sparare solo a salve, gli ha sparato contro con ugualmente. Il terzo, che agli inquirenti raccontò di essere venuto in Italia per comprare dei vestitini per il battesimo del figlio, perché lo ha preso a cazzotti in faccia mentre era morente per i colpi di pistola ricevuti.
Tutti e tre colpevoli allo stesso modo Tutti e tre hanno concorso ad uccidere il povero Luca Rosi, che aveva provato a ribellarsi alla barbarie dei tre rapinatori che gli erano entrati in casa e gli stavano per violentare la fidanzata. Infatti a tutti e tre vengono contestate le aggravanti, che consentono di chiedere la pena all’ergastolo anche in caso di rito abbreviato. Come questo. Lo sconto di pena di cui possono beneficiare i tre imputati, secondo i magistrati è quello dell’isolamento. Ma neanche un anno di galera in meno. Perché hanno ucciso senza pietà. Con cattiveria. Infierendo.
Ammazzare per niente Hanno «ammazzato per niente», come disse Aurel Rosu a Iulian Ghiorghita in un parco di Ponte San Giovanni prima di scappare in Romania per cercare di sottrarsi alla giustizia italiana. Furono i carabinieri del Comando provinciale di Perugia a scovarli e attenderli al loro rientro in Italia per mettergli le manette ai polsi. Un’indagine lampo quella dei carabinieri del Reparto Operativo e del Ros di Perugia, che permise di arrestare gli assassini in meno di quindici giorni.
20 anni per Simionescu Prima di loro in carcere era già finito Catalin Simionescu, il basista per cui i magistrati lunedì mattina hanno chiesto 30 anni di reclusione che con lo sconto di pena diventano venti. Per lui i sostituti procuratori non hanno potuto fare richiesta di ergastolo perché non gli viene contestata l’aggravante dei futili motivi. Questo solo e unicamente perché non era presente in casa al momento dell’omicidio. Ma il concorso nel reato c’è.
Tensione Lunedì mattina in aula era presente solo Aurel Rosu. E come già accaduto durante la scorsa udienza, la sorella del bancario ucciso non ha retto alla tensione della situazione. E mentre il pubblico ministero Giuseppe Petrazzini ricostruiva in aula gli attimi, terribili, del delitto, lei è scattata in piedi e si è scagliata contro la gabbia in cui era chiuso Rosu. « Bastardi! Lo avete ammazzato mentre aveva le mani legate» gli ha urlato. Il giudice ha dovuto sospendere l’udienza per riportare la situazione alla calma.
Si torna in aula Dopo i pubblici ministeri è stato il turno delle parti civili che rappresentano la famiglia Papa. Martedì mattina si tornerà in aula con le arringhe degli avvocati di parte civile Valeriano Tascini e Silvia Egidi per la famiglia Rosi e Luciano Ghirga per il Comune di Perugia. Poi sarà il momento delle difese. E delle repliche. E finalmente la sentenza. A poco più di un anno da quel terribile fatto di sangue che ancora scuote una intera comunità.