di Enzo Beretta
Il primo racconto di Amanda Knox sull’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher è «la narrazione confusa di un sogno macabro» piuttosto che «la descrizione di una vicenda davvero accaduta». In questura, la notte tra il 5 e il 6 novembre 2007, la «condizione psicologica» dell’americana era «divenuta per lei un peso davvero insopportabile». «In quel contesto è comprensibile che Amanda, cedendo alla pressione e alla stanchezza, abbia sperato di mettere fine a quella situazione dando agli investigatori ciò che in fondo volevano sentirsi dire: un nome, un assassino». E «poiché Patrick Lumumba era davvero estraneo» al delitto di via della Pergola «lo shock emotivo non poteva essere determinato dall’essere scoperta quanto dall’aver ormai raggiunto il massimo della tensione emotiva». Il processo ad Amanda Knox, prima assolta dall’omicidio e poi dall’accusa di calunnia nei confronti di alcuni agenti che indagavano sul giallo di Perugia, si trasforma in un processo alle tecniche di indagine della polizia. Il tribunale di Firenze attacca i «verbali inaffidabili» della questura, contesta le «scelte inopportune» degli interpreti «appartenenti alla stessa questura di Perugia» e «il metodo apparentemente edulcorato adottato dagli investigatori e dai loro ausiliari» con Amanda, «trattata con fare materno ed amichevole affetto» nonostante gli «elementi indiziari emersi a suo carico».
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Diritti negati Scrive il giudice Giampaolo Boninsegna nelle motivazioni della sentenza: «In un contesto professionale del genere probabilmente non ci si è resi conto che l’unico attento approccio richiesto verso la Knox, anzi, imposto, doveva essere quello di informare l’indagata dei suoi diritti di difesa, dichiarati inviolabili, non a caso, dalla nostra Costituzione. Ciò per l’evidente e scolastico motivo che si trattava di soggetto che doveva essere posto nelle condizioni di difendere la propria libertà personale a fronte del potere autoritativo dello Stato». Ancora: «La dignità personale e i diritti fondamentali di un soggetto al cospetto dell’autorità che procede nei suoi confronti vanno tutelati proprio al fine di impedire prevaricazioni dell’autorità medesima, magari con modalità oblique e surrettizie. E’ questo infatti lo scopo e lo spirito delle regole processuali vigenti, sin dalle prime battute delle indagini. Non trattamenti amichevoli, amorevoli o materni, dunque, erano dovuti né consentiti, ma solo il rispetto dei diritti strumentali di difesa. Era richiesto solo il rispetto delle regole che governano le indagini ma tali limiti sono stati travalicati determinando contaminazioni delle procedure che hanno portato alla loro invalidità».
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Una notte drammatica Il processo per calunnia ad Amanda nasce dalle dichiarazioni rese il 13 marzo 2009 dinanzi alla Corte d’assise di Perugia che la condannò a 26 anni di reclusione (sei anni dopo è stata definitivamente assolta). In quella circostanza la giovane di Seattle raccontò dell’«insistenza aggressiva» della polizia «sull’sms ricevuto da Patrick». «Mi hanno chiamato stupida bugiarda», tirandomi «scappellotti sulla testa». In aula spiegò: i poliziotti «mi hanno guardato il telefonino», erano convinti che «proteggessi qualcuno ma non stavo proteggendo nessuno». «Da quel momento ho avuto tanta paura, mi trattavano male e non capivo il motivo. Io ricordavo di essere stata a casa del mio fidanzato Raffaele Sollecito, di aver guardato un film e di aver cenato insieme a lui». La polizia «voleva mettere tutto su segmenti orari ma io non avevo guardato l’orologio e non ero in grado di spiegare esattamente a che ora avevo fatto tutto. Loro però insistevano che io avevo lasciato l’appartamento per incontrarmi con qualcuno; per me non era accaduto ma l’interprete ripeteva che probabilmente lo avevo dimenticato». Durante quella notte «tutti mi urlavano e dicevano che mi avrebbero messo in prigione. Come potevano essere sicuri che io sapessi tutto? Nella mia confusione ero quasi convinta di aver incontrato Patrick. Sotto pressione ho immaginato tante cose diverse, la polizia mi ha suggerito di dire che Meredith era stata violentata, per farmelo dire mi hanno picchiata; sono stata picchiata due volte per farmi dire un nome che io non potevo dare: Patrick». E il memoriale? «Non sapevo se il congolese fosse l’assassino perché io non ero in quella casa ma Lumumba è stato arrestato perché io ho fatto il suo nome, gli agenti volevano testimoniassi contro di lui ma questa cosa non mi piaceva». Amanda parlò di un clima molto teso negli uffici del terzo piano: «Tantissime persone entravano e uscivano, volevo chiamare mia mamma ma non mi venne consentito. Urlavano, mi minacciavano, quando ho fatto quelle dichiarazioni mi hanno detto di non preoccuparmi e che mi avrebbero protetto». Finché, col trascorrere delle ore, cresce il sospetto sui fidanzati: «Ho cominciato a piangere, tutti insieme quei poliziotti mi dicevano ‘devi dire perché, come è stato’, volevano dettagli che non sapevo», «non capivo perché mi trattavano così, non capivo più niente perché avevo paura ed ero impressionata, ad un certo punto ho pensato ‘Cavolo, forse hanno ragione loro, forse ho dimenticato…’».
Le omissioni della polizia La sentenza fiorentina mette in risalto le «singolari omissioni» delle attività di indagine. «Oltre al mancato rispetto della procedura relativa all’assunzione di informazioni da soggetto già indiziato – è spiegato – manca in tutti i verbali l’orario di chiusura». E’ stata «omessa anche la circostanza relativa al telefono di Amanda, esaminato senza un formale provvedimento di sequestro. Tutti i verbali e le dichiarazioni spontanee rese al pm sono molto brevi a fronte di attività durate ore in alcuni casi; tale approssimazione ha finito inevitabilmente per non rappresentare fedelmente l’attività svolta nei suoi dettagli».
I verbali inaffidabili «I difetti delle attività di rilievo hanno anche reso i verbali stessi inaffidabili quanto all’indicazione dell’inizio dell’attività documentata, alla presenza dei soggetti partecipi, alla fine delle attività compiute, mai indicata». Più in generale «gli atti di indagine salienti nel procedimento principale sono stati caratterizzati da frettolose quanto inefficaci strategie investigative foriere più di errori che di risultati accettabili e tecnicamente fruibili». E’ «risultata irrituale anche la scelta, del tutto inopportuna, degli interpreti, individuati tra soggetti appartenenti alla stessa questura di Perugia e quindi posti, forzosamente, in una condizione di comprensibile consonanza professionale con i colleghi che stavano procedendo alle immediate indagini sull’omicidio». L’interprete, «se non è estraneo agli interessi coinvolti, anche in maniera inconsapevole è portato ad assumere contegni di vicinanza a interessi di parte». Per il giudice «il sentimento di spontanea solidarietà espresso dall’interprete» e dall’ispettore che «tiene la mano di Amanda» sono stati sottolineati in aula col «palese scopo di segnalare il buon trattamento riservato alla Knox».
Rudy Guede è l’assassino Quando Amanda arriva in questura – è spiegato nella sentenza di primo grado – «non aveva ragione di essere intimorita; è entrata in uno stato di oppressione e stress proprio in seguito all’interrogatorio e alle sue modalità». «Offrendo il nome di Lumumba in pasto a coloro che la stavano interrogando così duramente Amanda sperava, verosimilmente, di porre fine a quella pressione, ormai dopo lunghe ore un vero tormento. Il suo racconto appare la narrazione confusa di un sogno, sia pure macabro, piuttosto che la descrizione di una vicenda davvero accaduta: questo conferma lo stato in cui si trovava Amanda Knox nel momento in cui rese le dichiarazioni spontanee e scrisse il memoriale, ed esclude la finalità di tacere il nome dell’effettivo autore del delitto: Rudy Guede. Qualora si fosse trovata nella casa di via della Pergola al momento dell’omicidio sarebbe stato agevole per Amanda indicare il vero autore in quanto ciò l’avrebbe resa credibile». Il giudice è convinto che la studentessa di Seattle «abbia indicato in Lumumba l’autore del crimine soltanto perché in quel momento, avendo coloro che la stavano interrogando, insistito sulla spiegazione del messaggio a lui inviato, le apparve come la via più breve ed agevole per porre fine alla situazione in cui si trovava».
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Non ci sono le prove «Le scelte investigative hanno indotto nell’imputata il convincimento di aver subìto una pianificata azione investigativa vessatoria e ingiusta. Manca la prova che i fatti non si siano svolti, in effetti, come narrato dalla ragazza e che lei fosse pienamente consapevole dell’estraneità del pm alle modalità di conduzione delle indagini. E’ verosimile che la Knox fosse convinta di essere vittima di un meccanismo ingiustamente vessatorio e prevaricatorio. Quanto alla posizione del magistrato, evidentemente ritenuto l’ispiratore gerarchico, sia pure erroneamente lo riteneva primo artefice ed ideatore del suo stato di soggezione».
Bisogna aggiungere alcuni particolari importanti: prima di tutto, la videoregistrazione dell’interrogatorio, che venne fatta in quanto obbligatoria per legge, è stata sempre tenuta nascosta, e probabilmente non verrà mai fuori: è sufficiente questo particolare per distruggere la versione della polizia e confermare quella di Amanda Knox.
Si prega di perdonare la mia traduzione di Google in italiano.
Non avevo sentito che la polizia aveva fatto una registrazione video di tale interrogazione. Essi hanno sostenuto hanno finito di nastro adesivo, e Amanda Knox non ha detto che ha registrato. Credo che la polizia sapeva ciò che stavano facendo era sbagliato, e che questo senso di colpa era il motivo per cui non hanno registrato esso.
Please pardon my Google translation into Italian.
I had not heard that the police had made a video recording of that interrogation. They claimed they ran out of tape, and Amanda Knox has not said they recorded it. I think that the police knew what they were doing was wrong, and that this guilt was why they didn’t record it.
La polizia non ha mai ammesso ufficialmente di aver fatto la registrazione, ma è estremamente probabile che l’abbia fatta dato che è obbligatoria per legge e non c’era motivo per non farla, dato che quell’interrogatorio aveva agli occhi degli investigatori un’importanza cruciale. Quando nel corso dell’interrogatorio il clima si riscaldò e Amanda venne sempre più maltrattata, la procura decise di secretare la registrazione (e forse addirittura di distruggerla): questa mi sembra la versione più ragionevole dei fatti. E’ vero che Amanda non ha mai detto di essere stata registrata, ma può darsi che la registrazione sia stata presa a sua insaputa (con una telecamera nascosta). Secondo Mignini la videoregistrazione non fu fatta perché non c’era più nastro e la procura non aveva denaro a sufficienza per procurarsene dell’altro. La motivazione di Mignini è assolutamente ridicola, perché la Procura di Perugia non era affatto povera e infatti poco dopo spese la somma enorme di 180 mila euro per costruire un video (da mostrare al processo per suggestionare i giurati) che raffigurava, con cartoni animati, lo scenario del delitto secondo le fantasie dell’accusa. Inoltre la spesa per una videoregistrazione è molto contenuta e alla portata di qualunque Procura. Un’altra versione (sempre fornita dalla Procura ma diversa dalla versione di Mignini) afferma che la registrazione non fu fatta perché Amanda era interrogata come persona informata dei fatti, e non come sospetta, e quindi la registrazione non era obbligatoria. Ma anche questa versione è ridicola, perché in realtà la ragazza fu considerata persona sospetta già nei primissimi giorni di novembre, secondo l’ammissione pubblica (che si trova anche su youtube) dello stesso vicecapo della polizia romana Edgardo Giobbi, e dunque già prima dell’ interrogatorio del 5-6 novembre. Inoltre, si vede subito che quest’ interrogatorio non aveva niente in comune con i colloqui che si svolgono tra la polizia e le persone informate sui fatti. Fu condotto di notte, e coinvolse almeno dodici poliziotti, alcuni di loro chiamati apposta da Roma ed esperti nella tecnica di interrogatorio Reid, che si usa unicamente con le persone fortemente sospette e ha lo scopo di suggestionare l’inquisito fino a fargli dire ciò che gli investigatori vogliono sentirsi dire. Concludendo, possiamo dire con sicurezza che o la registrazione c’è stata e poi fu nascosta (o distrutta) e questa mi sembra la cosa più probabile, oppure, come dice lei signor BourgeoisViews, non venne fatta perché fin dall’inizio si aveva l’intenzione di trattare Amanda in modo violento e illegale. Si può credere all’una o all’altra possibilità, ma in entrambi i casi una cosa è certissima: la registrazione nessuno l’ha mai vista, nè in tribunale nè alla TV, nonostante la legge la richieda, e questa mancanza è una prova schiacciante che la polizia ha mentito e che Amanda Knox ha detto la verità.
Quello che hai scritto è molto convincente. Può essere che la polizia non si preoccupava delle leggi che stavano violando quando interrogato Amanda Knox, ma che Mignini ha deciso la verità su come la polizia ha interrogato il suo impedirebbe la sua accusa.
Grazie per la risposta al mio commento.
What you have written is very persuasive. It may be that the police did not worry about the laws they were violating when they interrogated Amanda Knox, but that Mignini decided the truth about how the police interrogated her would impede his prosecution.
Thank you for replying to my comment.
you’ re welcome !
Un secondo particolare importante è la ritrattazione scritta da Amanda poche ore dopo la fine dell’interrogatorio; fu una ritrattazione spontanea perché fatta prima di consultarsi con gli avvocati. In questa lettera, diretta allo stesso staff di investigatori che avevano assistito all’interrogatorio, cioè a persone che conoscevano benissimo la verità su come l’interrogatorio era stato condotto e che quindi non potevano essere ingannate a riguardo, Amanda dice di aver fatto il nome di Lumumba a causa delle pressioni e delle minacce degli inquirenti, che l’avevano terrorizzata e suggestionata inducendo in lei dubbi e falsi ricordi. E avverte la polizia di non tener conto di quanto detto contro Lumumba, in quanto le sue parole non erano venute da lei ma dalla sua mente confusa dalle violenze fisiche e verbali usate contro di lei. La ritrattazione fu ripetuta, sempre per iscritto, in un secondo memoriale scritto il giorno dopo.
E quindi?
e quindi cosa?
Un altro particolare è la fretta con cui la polizia si precipitò, all’alba del 7 novembre, ad arrestare Lumumba senza prima fare indagini e cercare riscontri, ma basandosi solo sulla dichiarazione (peraltro confusa e dubitativa) di Amanda Knox, tenendolo poi in carcere per due settimane nonostante la pronta ritrattazione di Amanda. Questo particolare dimostra (o almeno suggerisce fortemente) che la polizia già da prima dell’interrogatorio di Amanda riteneva Lumumba implicato nel delitto. Fu quindi per dare una base legale all’arresto del congolese se la polizia costrinse Amanda con minacce e violenze a fare il suo nome.