di  Fra. Mar.

Quattordici rinvii a giudizio, un patteggiamento a un anno e otto mesi e due assoluzioni. E’ questo l’esito dell’udienza preliminare dell’indagine Apogeo, che portò dietro le sbarre un’associazione a delinquere che stava iniziando a cannibalizzare l’economia sana dell’Umbria con i soldi sporchi da riciclare provenienti anche dal clan dei Casalesi. «Dopo aver ricevuto rilevanti somme di denaro dall’associazione camorristica denominata ‘casalesi’ – scriveva il pm nell’avviso di conclusione delle indagini -impiegavano dette somme per l’acquisizione di società in difficoltà economica, e attraverso una serie indeterminata di delitti di truffa, sia in danno dei titolari che dei fornitori e dei clienti delle società, distraevano i profitti e se ne appropriavano, fino a condurre alcune imprese al fallimento».

Chi sono A processo quindi Angelo Russo, Filippo Gravante, Pasquale Tavoletta, Antonio Iossa, Giuseppe D’Urso, Salvatore Orecchio, Gaetano Cacciola, Maurizio Papaverone, , Stefano Malmassari, Carmelo D’Urso, Santi Carmelo Balastro, Giuseppe Marino, Giuseppe Zinnarello e Marcello Briganti. Assolte Diana Lambrino e Fiorella Luciana Pavan. Un anno e otto mesi per l’uomo che vuotò il sacco, Gennaro De Pandi.

Accuse L’accusa contestava loro i reati di truffa aggravata, riciclaggio, bancarotta fraudolenta, totale evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, emissione e ricezione di fatture per operazioni inesistenti. Secondo la ricostruzione accusatoria del procuratore aggiunto Antonella Duchini, per rilevare e svuotare le società in crisi, avrebbero creato e acquisito «una serie di società operanti nel settore dell’edilizia e della ristorazione, società aventi anche sedi inesistenti o fittiziamente collocate all’estero e operanti mediante prestanome».

Annegato col cemento ai piedi L’indagine era nata intorno alla metà del 2010 in seguito alle segnalazioni arrivate in merito a rilevanti operazioni economiche condotte da soggetti non conosciuti nel Perugino. Segnalazioni che hanno poi portato ai controlli effettuati dalla guardia di finanza e alle società ora smascherate, molto spesso guidate da dei prestanome. Uno di loro era De Pandi, che poi raccontò: «Ho deciso di presentarmi spontaneamente a rendere dichiarazioni su una serie di fatti a mia conoscenza verificatasi dal 2009 in poi – raccontava De Pandi al pubblico ministero durante le indagini -e riguardanti la gestione di alcune società, perché negli ultimi tempi ho avuto contezza di situazioni che a mia insaputa erano state poste in essere e sono stato oggetto di comportamenti intimidatori e di minacce( in particolare, come dirò meglio in seguito, uno degli appartenenti a questo gruppo mi ha detto che dovevo stare attento a come mi comportavo perché altrimenti sarei finito annegato con il cemento ai piedi, e un altro mi disse che non dovevo alzare la testa perché ero una testa di legno)».