Un'elettrice in un seggio (foto ©Fabrizio Troccoli)

di Daniele Bovi

A fare da sfondo alle urne che si apriranno in Umbria tra sessanta giorni è una crisi triplice: quella economica – legata a filo doppio a quella sociale – e quella politico-istituzionale. E se ciascun appuntamento elettorale non può che far storia a sé, quello del 27 ottobre è tra quelli che in ogni caso segneranno un cambio di fase. L’Umbria che si prepara al voto d’autunno è tra le regioni dove la crisi scoppiata nel 2008 ha assestato i colpi più duri: oltre 15 i punti di Pil persi in un decennio, un indice di povertà relativa familiare passato dal 4,9% del 2008 al 14,3% del 2018, disoccupati in crescita dai 18 mila di un decennio fa ai 41 mila del primo trimestre 2019, un tessuto economico (fatto più che altro di piccola e micro impresa) indebolito e trasformato, una ripresa che si fa fatica ad agganciare e problemi ormai atavici come i bassi livelli di produttività, di specializzazione e di investimenti in ricerca, senza dimenticare redditi e salari inferiori alla media nazionale.

INTERATTIVO: REGIONALI, TUTTI I RISULTATI DAL ’70

Come si arriva al 2008 Il presidente dello Svimez, poche settimane fa, ha parlato di meridionalizzazione per quanto riguarda Umbria e Marche; un orizzonte del quale, in realtà, già diverse volte si è discusso nel corso degli anni. Allo spartiacque del 2008 l’Umbria è arrivata dopo aver attraversato diverse fasi, che nel breve spazio di un articolo non si possono che tratteggiare a grandissime linee: l’elaborazione, all’inizio degli anni Sessanta, del primo Piano regionale di sviluppo, una stagione molto importante in termini di collaborazione politica, istituzionale e fecondità di idee, che contribuì in modo decisivo a portare l’Umbria mezzadrile fuori dall’arretratezza, con annesso svuotamento delle campagne e inurbamento delle vaste fasce di popolazione che le abitavano. Buona parte di quei programmai vedranno la luce solo con la nascita, nel ‘70, dell’istituzione Regione; da lì in avanti ci sarà un decennio dove crescerà e si consoliderà, in un modello di sviluppo pubblico-privato fortemente guidato dal primo ‘braccio’, la piccola e media impresa, senza dimenticare alcuni campioni nazionali e internazionali.

LA MAPPA POLITICA DELL’UMBRIA

Lo sbriciolamento Anni in cui mettono radici alti livelli di welfare e di qualità della vita che, insieme ad altri fattori, garantiscono la coesione sociale, tanto da far parlare di «modello Umbria». Il tutto cementato da generosi livelli di spesa pubblica, garantiti fino alle pesantissime sforbiciate assestate a Regione ed enti locali dai diversi governi, che hanno fatto pagare ai territori uno dei prezzi più salati negli anni della crisi. Il modello, con tutti i suoi pregi, limiti, rigidità e difetti strutturali, comincerà a sbriciolarsi già negli anni ‘80. Poi, col mondo che cambia, si batteranno le strade della «Regione leggera», della programmazione negoziata, dei Patti e delle Alleanze per lo sviluppo e la crescita, con un dibattito sulla necessità di un nuovo modello di sviluppo per la regione che si alimenta a fasi alterne mentre il quadro, tra leggi Bassanini e riforma del Titolo V, cambia velocemente.

L’ETERNO FUNERALE DELL’UMBRIA ROSSA

Modelli Con processi che si articolano su scala nazionale e soprattutto sovranazionale quanto ha ancora senso, oggi, parlare di un modello di sviluppo regionalistico? È al livello almeno di una macroregione che si possono tentare di dare delle risposte (parziali) ai problemi dell’oggi o no? Quali sono gli assi principali sui quali l’Umbria deve puntare? Quali le reali capacità di incidere su determinati fenomeni dell’ente Regione e quale il possibile nuovo ruolo in anni di politiche schizofreniche, tra ampliamenti dei poteri e tentazioni neo-centraliste? In questo contesto, una partita sicuramente importante sarà quella della nuova fase di programmazione dei fondi Ue 2021-2027, di fatto le uniche ‘munizioni’ di una certa rilevanza in mano a Palazzo Donini, il cui bilancio per oltre il 70% è assorbito dalla sanità, dove sull’onda di Concorsopoli va ricostruito un rapporto di fiducia coi cittadini.

Crisi politica e vecchi arnesi Intrecciata alla crisi economica e sociale c’è quella politico-istituzionale. Detto dell’ente Regione, che deve trovare un nuovo ruolo tra riduzione delle risorse, governi che hanno dato vita a riforme contraddittorie, nuovi equilibri tra giunta e consiglio e necessità di confrontarsi con processi di portata nazionale e sovranazionale, c’è lo sconquasso nei due schieramenti che hanno segnato la vita politica umbra per un venticinquennio, più o meno da quando si eleggono direttamente sindaci e presidenti. Centrosinistra e centrodestra oggi sembrano vecchi arnesi, magari comodi per inscatolare la realtà politica ma non troppo utili per leggerla.

L’amalgama malriuscito Nella regione il modello imperniato sul centrosinistra ‘classico’ è ormai consunto e, benché il funerale sia stato celebrato in molte (troppe) occasioni, l’«Umbria rossa» è in realtà morta e sepolta già da un pezzo (qui se ne spiegano i motivi); di una importante e articolata «subcultura», per lunghi anni è sopravvissuta solo una certa continuità del voto, peraltro in progressivo calo. Il Pd, cioè «l’amalgama malriuscito» (copyright Massimo D’Alema), vive una crisi senza precedenti, nella quale Concorsopoli – che ha portato alla decapitazione di partito e Regione – non è che un elemento, e probabilmente neanche il più importante; una conseguenza, non una causa, dell’inaridirsi di una storia e del progressivo appiattirsi della politica sulla gestione del potere locale e sul governo delle istituzioni; un partito che in molti casi è parso un insieme di cordate tenute insieme più che altro dalla prospettiva del potere e che, nell’ultimo decennio, è stato schiacciato dal dualismo (a fasi alterne) Bocci-Marini. E se sul piano giudiziario la vicenda farà il suo corso, sul piano politico la mazzata è stata devastante perché l’inchiesta ha incrociato due fattori sentiti ogni giorno dai cittadini sulla loro pelle: il lavoro e la salute.

Centrodestra e destra-centro Di conseguenza, per la prima volta dal 1970 a oggi – fatta salva la breve stagione dei professori, altro momento di crisi scaturito da Tangentopoli – il candidato presidente non arriverà dalla filiera Pci-Pds-Ds-Pd, bensì dal mondo cattolico legato a Confcooperative; e tanto basta per segnare una fase. Andrea Fora, in un altro contesto, avrebbe potuto tranquillamente essere il candidato di una coalizione di centrodestra «moderato», qualsiasi cosa voglia dire. E da qui si arriva all’altro corno del problema, cioè alla trasformazione del centro-destra nel destra-centro: la Lega, partito chiaramente di destra checché ne dicano i sostenitori della scomparsa di quest’ultima e della sinistra, rappresenta con Fdi l’asse portante della coalizione; e se idee e provvedimenti camminano ovviamente sulle gambe delle persone, l’orientamento ideale dei due partiti non cambia. Forza Italia e poi il Pdl, cioè i partiti che per anni si sono autoritratti come i portabandiera di una destra ‘normale’, europea, filoatlantica, conservatrice e molto liberale (i risultati in realtà sono stati molto meno roboanti e aderenti all’autoritratto), sono stati fagocitati dalla destra truce e sovranista anche a causa della crisi complessiva del progetto forzista, incapace di andare oltre il regno berlusconiano.

Cambiamento e blocchi di potere Fatto sta che con i suoi diversi assetti il centrodestra e il destra-centro nel corso degli anni in Umbria hanno progressivamente conquistato quasi tutte le città più importanti della regione, una sorta di ricco antipasto di quella che viene sognata come la spallata finale e definitiva. Per non far sì che la vittoria si trafori nella semplice sostituzione di un blocco di potere con un altro, bisognerà sottoporre un progetto agli elettori umbri che, dopo il collasso delle più importanti tradizioni politiche e delle loro incarnazioni partitiche sono a caccia, in un contesto di gigantesca volatilità elettorale, di un cambiamento che nel corso degli anni si è incanalato prima nel renzismo, poi in parte nel M5s e infine nella Lega.

Twitter @DanieleBovi

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