Il teatro e cinema Turreno

di Giovanni Tarpani

Va dato atto alla Fondazione Sergio per la Musica di aver introdotto sia in termini metodologici, sia nel merito della questione ‘Turreno’, una vera discussione sul tema della cultura a Perugia. Purtroppo questo confronto, che manca da anni, se non almeno da un decennio, vede come attori quelli che appartengono a una generazione oramai fuori dalla possibilità di incidere concretamente e quindi si può solo animare una dialettica delle idee, comunque utile.

VIDEO: IL TURRENO COME E’ OGGI

Pur essendo lontano dalla politica attiva da 17 anni non mi sono certo dimesso da cittadino. In questa veste mi dispiace davvero molto che le voci che si odono siano solo della mia generazione e non quelle di un’intellettualità nuova, che ha certamente forme espressive differenti dal passato ma comunque riconducibili a un impegno culturale, direi quasi civico. La questione dell’ex cinema Turreno è esattamente come la propone Virgilio: va messa in relazione al contesto degli altri contenitori per la cultura a Perugia. Se si vuole andare ancora più nel dettaglio occorre uno spazio per 1400 persone, con possibilità di modulazione.

Non è tollerabile né possibile che per il Comune di Perugia questo obiettivo sia subordinato alla gestione di spazi accessori. Di un ristorante. La città ha bisogno di un contenitore adeguato alle sue necessità culturali e non enogastronomiche. Le attività collaterali sono una variabile dipendente e non certo l’essenza del Progetto Turreno. C’è poi un aspetto che mi sta particolarmente a cuore: quello del Progetto architettonico che non può essere ‘fatto in casa’, visto il ruolo che assume il Turreno per tutto il centro storico e per la città in generale. Tanto per essere chiari occorre un grande architetto internazionale e non un bravo professionista locale. L’ambizione dovrebbe essere non quella di avere un buon articolo sulla stampa locale ma di arrivare sui media nazionali come una città competitiva.

Abbiamo quattro contenitori nell’ambito del centro storico: il Morlacchi, il Pavone, il Turreno e San Francesco al Prato. Quest’ultimo è in gestazione da ben 17 anni e ancora non si vede la luce per il suo completamento. Probabilmente neanche Cheope in veste di Project Manager riuscirebbe nell’impresa di finire quest’opera che a suo tempo fu salutata come ‘l’auditoriun che mancava a Perugia’. Se sul Turreno mancano le risorse del Comune di Perugia si ripensi alla funzione di San Francesco al Prato, tanto è oramai chiara una certa insipienza a completare il progetto in base all’obiettivo iniziale. Accanto all’Accademia di Belle Arti, sarebbe un polo per le arti visive e multimediali fortemente funzionale e attrattivo. Potrebbe essere quel contenitore che manca a Perugia per ospitare mostre di arte contemporanea di cui la città ha assoluto bisogno e di cui sono dotate quasi tutte le altre maggiori città dell’Umbria.

Gli altri tre contenitori avrebbero i numeri per garantire un ventaglio d’ipotesi in grado di soddisfare tre differenti scale di necessità, a patto che i proprietari del Pavone cessino questa grottesca e antistorica pretesa di volere soldi pubblici per una proprietà privata. Forse sarebbe il caso di spiegare loro che non siamo più nello Stato Pontificio da qualche tempo. In epoche come quella attuale non è possibile sprecare risorse. Nessuno più di me è sensibile al tema del recupero di San Francesco, per motivi facilmente intuibili, ma occorre sempre guardare al futuro nell’interesse generale della città e della sua comunità.

Soprattutto occorre fare i conti con i mezzi economici che l’Italia di oggi può mettere in campo. Purtroppo in questi anni ha vinto un modello culturale opposto al nostro comune sentire. Basta vedere come è trattata la sede della Giunta Regionale, che tra l’altro è un bene culturale in sé, in Corso Vannucci in questi giorni. La cultura è intesa solo come organizzazione di eventi, null’altro, senza una visione e un progetto politico. Non è più una funzione sociale e di crescita collettiva alla base di una visione della città. Occorre avere fiducia nelle persone che hanno a cuore la città e, quindi io sono dalla loro parte, ‘a prescindere’ avrebbe detto Totò.

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