di Francesca Marruco
Giudizio immediato. E’ quello che la procura di Perugia chiederà a breve per Francesco Rosi, l’agente immobiliare arrestato il 25 novembre scorso per aver ucciso a fucilate la moglie Raffaella Presta nella loro abitazione di via del Bellocchio. Rosi si consegnò ai carabinieri, che lui stesso chiamò dopo aver sparato i due colpi contro la moglie Raffaella.
La chiamata al 112 Adesso quindi il pm Valentina Manuali, dopo che avrà ricevuto anche l’esito degli esami del Ris, andrà verso una definizione celere del processo. Sulla responsabilità di Francesco Rosi infatti non c’è alcun dubbio. Fu lui stesso a confessare al telefono con il 112 quello che aveva appena fatto: «Buongiorno mi scusi venite alla stazione», e il carabiniere gli rispose: «Che cosa succede?». «Ho sparato alla moglie» fu la risposta. E ancora «è una cosa grave, una cosa gravissima, venga ad arrestarmi per cortesia», e l’operatore che gli faceva ripetere: «Ha sparato a sua moglie?», e lui: «Si, venite subito?».
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Premeditazione La battaglia tra accusa e difesa si concentrerà quindi sicuramente sulla premeditazione, che c’è per l’accusa e non c’è per la difesa, e neanche per il gip che emise l’ordinanza di custodia cautelare in carcere dell’uxoricida. L’avvocato Luca Maori ha prodotto un video in cui si vede la sagoma delle armi impolverate sotto il letto sostenendo che l’arma, che era custodita lì sotto da qualche anno perché i Rosi la tenevano per difendersi dai ladri, era stata presa in un momento di ira dell’uomo.
Il fucile Sono stati però i giudici Narducci, Semeraro e Verola del tribunale del riesame che, nella stessa ordinanza con cui gli hanno negato i domiciliari col braccialetto e hanno fortemente stigmatizzato il prelievo di saliva al figlio per fare il test del Dna, hanno anche osservato che: «è vero che sotto il letto c’era un fucile riposto nella custodia seppellito da una coltre di polvere, ma è altrettanto vero che quella impolverata non è l’arma usata per ammazzare Raffaella Presta che invece è stata rinvenuta affianco al corpo della vittima adagiata su un tappeto. Dunque – scrivevano – allo stato è impossibile stabilire il luogo dove era custodita l’arma, che dalle fotografie non appariva impolverata». Insomma, Rosi dice di aver perso la testa quando Raffaella gli avrebbe urlato «quello non è tuo figlio», ma a sostenere la sua versione dei fatti non c’è nessuno. E al loro bambino di soli sei anni verrà risparmiato lo strazio di dover rivivere quel terribile momento solo per confermare o smentire la versione del padre.