di Maurizio Troccoli
«Non è veleno, ma semplicemente gutalax», cioè una purga. E’ questa la versione che l’operatrice sanitaria dell’hospice di Perugia, accusata di avere alterato l’acqua nella bottiglietta della collega, ha fornito agli investigatori. Una verità, la sua, che le indagini compiute potrebbero già avere smentito, o confermato, con le analisi del liquido. Prima però di ricostruire quanto accaduto, sul caso è stata fissata un udienza davanti al giudice del Riesame, per il 24 di ottobre.
L’udienza E’ riferita all’impugnazione da parte del pm dell’ordinanza di rigetto del gip sulla richiesta di misura cautelare. Tradotto significa che il giudice delle indagini preliminari ha detto no alla misura cautelare richiesta per cui il pm si è appellato.
Indagini Le indagini sono ancora in corso, bisogna attenersi ai pochi atti in circolazione, sui quali non si evidenzia neppure la sospensione dell’accusata, dalla propria attività lavorativa. Atto che potrebbe essere stato compiuto dalla stessa Asl – come anticipato dai giornali -, ma non pervenuto. Lei, in questi giorni, è assente in sede, ma «per malattia», spiega chi la conosce e parla con Umbria24.
Ricostruzione Quello che è stato raccontato, anche da questo giornale, è che siamo probabilmente davanti a un tentativo di alterazione dell’acqua presente all’interno della bottiglietta della collega. Con cosa? E’ da capirlo, atteso che c’è chi pensa a un tentativo di avvelenamento e chi a un dispetto con una purga. Al tentativo di alterazione, tuttavia, ci sono arrivati gli inquirenti anche attraverso le proprie indagini. Sia con telecamere che con analisi compiute sul liquido. Tutto parte da un malessere avvertito dalla operatrice sanitaria che accusava stati di confusione e la percezione di amaro alla bocca quando beveva l’acqua dalla bottiglietta.
Le analisi Il risultato delle analisi, probabilmente già nelle disponibilità degli inquirenti, ma non di altri, potrebbe essere preso per buono dalla difesa dell’accusata, oppure contestato nel merito e nel metodo.
La versione dell’accusata Intanto, in fase di indagini, l’accusata ha risposto alle domande degli investigatori. Ha riferito cioè di avere iniettato del gutalax in quella bottiglietta. Di averlo fatto durante momenti di tensione all’interno dell’ambiente di lavoro e di averlo rivolto, a chi, a suo avviso, avrebbe dovuto tutelarla e difenderla. Ha voluto informare gli investigatori di non avere utilizzato sostanze velenose e comunque di averlo fatto in momenti in cui si sentiva emarginata e umiliata. Ha riferito anche della sua volontà di lasciare quell’ambiente di lavoro, di avere quindi presentato domanda di trasferimento.
Capo d’imputazione A quanto apprende Umbria24 la donna è accusata di tentata lesione aggravata da sostanze usate e di stalking. Chi parla con Umbria24 la rappresenta come una professionista che è riuscita a ricoprire incarichi di rilievo per le sue competenze. Di essere tuttavia in una particolare condizione di sofferenza dovuta anche a cure che fanno seguito a una grave malattia.
La versione dei colleghi Dall’ambiente di lavoro arrivano invece messaggi di tutt’altro sapore. Ovvero di colleghi che, a prescindere dall’episodio in questione, avevano sollevato malumori e finanche denunce, sicuramente a livello sindacale, per il comportamento ritenuto incompatibile con l’ambiente di lavoro e il ruolo di responsabilità che ricopre la donna. Hanno parlato di un carattere rigido e intrattabile, con atteggiamenti di imposizione verso i colleghi e condotte al limite della tollerabilità, oltre ad episodi di perdita di controllo.