di Ivano Porfiri
Era il 1995 quando il professor Giancarlo Mantovani creò quel piccolo gruppo (3 ricercatori e 2 tecnologi) che si mise a lavorare su un progetto che 17 anni dopo avrebbe portato alla scoperta di quella che oggi, forse a sproposito, viene chiamata «particella di Dio»: il bosone di Higgs. Da allora tanto sudore, tante delusioni, tanto timore di non arrivare mai a un risultato. Fino all’annuncio del Cern di Ginevra: il bosone di Higgs esiste e spiega cos’è la massa e come si costituisce in natura. L’Università di Perugia e l’Istituto nazionale di fisica nucleare si uniscono al giubilo: «Una scoperta fondamentale, forse più dell’arrivo dell’uomo sulla luna».
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Cos’è il bosone di Higgs Per Gian Mario Bilei della sezione perugina dell’Infn, «oggi abbiamo capito meglio ciò che ci circonda, sappiamo di più del concetto di massa che è fondamentale in natura. Osservando, grazie all’esperimento Cms, il decadimento del bosone di Higgs abbiamo la spiegazione sul perché si creino masse diverse. Solo chi investe 20 anni di vita in una ricerca scientifica può capire l’importanza di quanto osservato a Ginevra». Tutto nasce dall’intuizione che fece nel 1964 il 35enne Peter Higgs, fisico oggi in odore di Nobel, che spiegò con la «sua» particella perché si è creato un universo con ammassi di materia (che forma stelle e pianeti) e non un luogo caotico di particelle che non si incontrano mai. In pratica, il «tocco di Dio» che dal nulla ha creato tutto.
Il ruolo di Perugia L’università di Perugia è stata una delle quattro che dato vita al Cms, uno dei quattro rivelatori di particelle funzionanti all’acceleratore Lhc al Cern di Ginevra, la più grande macchina per esperimenti scientifici al mondo. In parole povere, è uno dei due punti del grande anello in cui è stato «fotografato» il bosone di Higgs dopo l’impatto fra protoni. Al Cms hanno lavorato negli ultimi 17 anni 3.300 scienziati e ingegneri di tutto il mondo, di cui 350 italiani. Nell’università di Perugia si sono occupate del Cms 80 persone, gestendo 12 milioni di euro di finanziamenti, gruppo che negli anni ha prodotto 13 tesi di dottorato e 5 conferenze internazionali. Nella materia si sono laureati 40 studenti tra fisica, ingegneria e informatica. Perugini hanno ricoperto anche ruoli di leadership.
Catena del sapere «E’ una giornata attesa da tanti anni – afferma Pasquale Lubrano, direttore della sezione Infn – perché grazie all’impegno di migliaia di scienziati è stato verificato ciò che finora veniva solamente teorizzato. La verifica dell’esistenza di ciò che viene chiamato, in modo improprio, la ‘particella di Dio’, è un traguardo importantissimo che ha visto il gruppo di Perugia partecipare fin dall’inizio dell’esperimento. Sono stati anni di lotte fra bisogno di tecnologie aggiornate e carenza di fondi ma che, grazie alla tenacia di Infn e dipartimento di Fisica, sono stati proficui creando una grande catena del sapere».
A Perugia ricerca di alto profilo «Siamo orgogliosi del risultato – aggiunge Caterina Petrillo, direttore del dipartimento di Fisica – è la dimostrazione che siamo capaci di produrre ricerca di alto profilo, una ricerca che ha un ritorno anche in termini economici perché muove un intero ‘cantiere della scienza’». «Si tratta di un evento molto significativo anche perché riguarda la ricerca di base – ha commentato il preside della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali Fausto Elisei – ovvero l’ambito di precipua competenza dell’Accademia, quello che poi viene declinato in tecnologia, trovando così applicazioni pratiche capaci di migliorare, e talvolta rivoluzionare, la vita di tutti noi».
Gioia e amarezza «E’ una scoperta importante – sottolinea il rettore Francesco Bistoni – a cui anche il gruppo di Perugia ha partecipato attivamente: da anni collaboriamo con il Cern, fin da quando il professor Giancarlo Mantovani iniziò questa esperienza». Una scoperta che arriva in tempi bui per la ricerca e l’università. «E’ un momento difficile – ammette il rettore – ancora riusciamo a tenere i conti in ordine ma sul futuro non bisogna chiedere a noi: questo paese deve decidersi se vuole rimanere tra quelli civili in cui si fa ricerca o diventare periferia del mondo scientifico».
Oggi impossibile iniziare Più esplicito ancora Lubrano: «Durante gli esperimenti all’Lhc per ogni euro investito è tornato 1,15 euro in commesse all’industria italiana con un vero e proprio guadagno netto. Tuttavia, se guardiamo al panorama internazionale va detto che oggi un progetto simile non potremmo iniziarlo. Se andrà avanti sarà perché noi scienziati sapremo trovare altre fonti di finanziamento, anche con il supporto di privati».