I candidati de L'Altra Umbria, al centro Vecchietti (foto Umbria24)

di Daniele Bovi

Inizia con Michele Vecchietti, candidato de L’Umbria per un’altra Europa, la serie di interviste (dieci domande uguali per tutti) a coloro che il 31 maggio correranno per succedere a Catiuscia Marini alla guida della Regione. In fondo alla pagina i link alle altre interviste.

L’Umbria esce sfibrata da 8 anni di crisi. Come immagina l’Umbria dei prossimi anni e quali sono i progetti chiave sui quali costruirla?

La crisi scaturisce dalla perpetuazione delle politiche neoliberiste, che hanno abbattuto i diritti del mondo del lavoro, aumentato la pressione fiscale e ridotto o esternalizzato i servizi pubblici. In questi anni tali politiche si sono unite ad una drastica riduzione delle risorse pubbliche: il mito dell’austerità espansiva si è rivelato una trappola, che ha determinato un inedito trasferimento di risorse verso il capitale finanziario per il pagamento degli interessi sul debito pubblico (95 miliardi di euro nel 2013) ed un accentramento dei poteri decisionali nelle mani delle strutture centrali di governo. Se si continuerà così si avrà la liquidazione dell’esperienza regionalista e dell’idea stessa di un modello di sviluppo decentrato; in questo senso, la crescita della povertà nella nostra regione, insieme al dato sulla disoccupazione e il basso livello del reddito pro capite, non sono solo un effetto della crisi globale, ma anche dell’incapacità di rispondere adeguatamente da parte delle istituzioni locali e regionali. Solo quest’anno si prevedono 5,7 miliardi di euro di tagli alle regioni, a cui si aggiungono i provvedimenti sulle provincie e gli enti locali. Serve un rapporto autorevole con il Governo, che ne contrasti le riforme e le politiche di austerità, costituendo un autentico “patto contro il patto di stabilità”. Allo stesso tempo occorre una revisione della spesa e del sistema di governo del territorio, a cui in questi anni non si è riusciti a dare un assetto stabile, disconoscendo il ruolo ed il potenziale del pubblico impiego e delle comunità locali nell’individuazione di soluzioni efficienti ed economicamente sostenibili. Occorre fare una nuova politica di pianificazione, a partire dall’utilizzo delle risorse comunitarie all’interno di un piano per il lavoro, per la lotta alla povertà e per il reinsediamento produttivo in agricoltura, nonché l’adozione di piani da troppo tempo attesi, come quello per la sanità, per i trasporti e la tutela del paesaggio. Vanno revocate le scelte sbagliate di questi anni in materia ambientale, impedendo la produzione e la combustione del CSS e revocando la deregolamentazione avutasi nel settore delle energie rinnovabili. Infine, è urgente contrastare la morsa della corruzione e delle mafie nella nostra regione: con l’adesione alla campagna di Libera “Riparte il futuro” abbiamo assunto l’impegno ad approvare entro i primi 100 giorni di governo la delibera “Integrità a costo zero” ed a dare effettivi poteri alla commissione contro le infiltrazioni mafiose, che va ricostituita.

La Regione vive l’emergenza lavoro. Indichi un provvedimento concreto per favorire l’occupazione specificando le coperture per finanziarlo.

Proponiamo un piano regionale per il lavoro, con il quale concentrare le risorse comunitarie sulla base della ricaduta occupazione delle richieste di finanziamento presentate dalle imprese. Per fare un esempio, la nuova programmazione FESR (fondo europeo per lo sviluppo regionale) prevede che l’80% delle risorse sia concentrato su due dei quattro obiettivi tematici già individuati (ricerca e innovazione, accesso alle tecnologie dell’informazione, competitività delle PMI, efficienza energetica); parliamo di 356 milioni di euro in sette anni, il cui impiego prevede il cofinanziamento da parte della regione, che dovrà così sottrarre ulteriori risorse alla spesa propria. Ciò rafforza la necessità di utilizzare queste risorse affinché producano lavoro e radicamento nel territorio delle attività produttive; spendere tutto, come si vanta di aver fatto il Partito Democratico, non è un indicatore sufficiente, tanto più che gli effetti dei programmi, in questi anni, non sono affatto misurabili, soprattutto in termini occupazionali. Proponiamo dunque un diverso modello di impiego, anche per mezzo di una profonda riforma delle agenzie regionali di sviluppo e di sostegno al credito: le risorse possono essere usate per acquisire aree industriali dismesse – penso all’ex Basell, ma anche a tanti distretti industriali abbandonati nel territorio regionale – progettare interventi di riqualificazione e riconversione e sostenere la nascita di imprese che promuovano il reinserimento lavorativo di quanti hanno perso il lavoro in questi anni, in particolare nel settore manifatturiero e nell’edilizia. Serve inoltre un intervento strategico nelle aree di crisi, contrastando le dismissioni produttive e le delocalizzazioni operate in questi anni dalle multinazionali presenti nella nostra regione. La revisione dell’accordo di programma per l’ex Merloni e il riconoscimento dello stato di crisi industriale complessa per l’area di Terni e Narni (l’istanza al governo, nonostante i proclami, non è mai stata avanzata, né si è operato per rifinanziare le misure previste nella legge 134/2012) sono in questo senso due priorità assolute.

IL PROGRAMMA

Quale criteri userà nella composizione della giunta? Privilegerà gli eletti o coinvolgerà personalità esterne?

La Giunta dovrà basarsi sul risultato elettorale e privilegiare, in termini di prevalenza nella sua composizione, le competenze espresse nella lista dai candidati: non è da escludere tuttavia la possibilità di ricorrere a professionalità appartenenti alla società civile, ai movimenti ambientalisti ed al mondo del lavoro disposte a sostenere il nostro progetto di governo e di ricomposizione sociale.

Quale sarà il primissimo provvedimento della sua presidenza?

Ho già citato la delibera “integrità a costo zero”: ritengo che per prima cosa vada dato un segnale alla comunità regionale, che non riconosce più nella politica uno strumento con il quale cambiare le proprie condizioni. Provvederemo ad una riduzione di almeno 1/3 delle indennità dei consiglieri e degli assessori per costituire un fondo anticrisi, da mettere a disposizione dei lavoratori impegnati nelle vertenze e per sostenere il welfare locale.

L’Umbria fino al 2020 avrà a disposizione le risorse, importanti, dei Fondi europei. Quali sono i suoi piani per l’utilizzo di questi soldi?

Ho già detto quel che vogliamo fare delle risorse per lo sviluppo e della promozione di un Piano regionale per il Lavoro. Rispetto al fondo sociale europeo (237 milioni di euro, a cui si aggiungono 100 milioni di euro dei programmi operativi nazionali), riteniamo che vada attuata fino in fondo la previsione di concentrare queste risorse per la lotta alla povertà: una lotta che non si fa con i voucher formativi, dando i soldi alle agenzie, ma utilizzando queste risorse per sperimentare forme di sostegno al reddito – come il reddito di cittadinanza – a partire da disoccupati ed inoccupati. Lo strumento potrebbe essere quello del contratto d’inserimento socio-lavorativo: in cambio di un’assegnazione economica, la persona si impegna a seguire un progetto formativo e di riqualificazione professionale, a cura dei centri per l’impiego. A queste risorse si potrebbero aggiungere quelle derivanti dalla modifica della fiscalità regionale, aumentando il prelievo fiscale dell’addizionale irpef sui redditi sopra i 75 mila euro, come pure quelle ottenibili da una revisione dei canoni ambientali. Parliamo di risorse limitate rispetto alle reali necessità della popolazione, ma i ragionamenti vanno fatti sulla base delle condizioni presenti, e non per fare propaganda; accanto alla battaglia nazionale per l’istituzione di strumenti di sostegno al reddito va avanzata una proposta di fase per il governo della regione, che riattivi la domanda interna, ridotta ad una “variabile dipendente” dal nuovo corso del Partito Democratico in favore del sostegno primario all’export (basta andare a vedere cosa recita il DAP a tal proposito). Fare politiche espansive a livello regionale è quindi possibile e necessario. Vi sono poi provvedimenti la cui attuazione è praticamente a costo zero: è il caso dell’anticipo delle risorse per la cassa integrazione in deroga, attesa da oltre 13 mila umbri, in molti casi da circa un anno. La regione potrebbe benissimo anticipare le risorse per poi recuperarle dal Governo a fine anno; un rischio calcolato, che sta dentro un’idea di rapporto con l’esecutivo nazionale non più ispirata alla subalternità. C’è in ultimo la questione delle risorse per lo sviluppo rurale. Riteniamo che debba essere promossa una misura specifica a sostegno della nascita di nuove attività agricole (sia sotto forma della coltivazione diretta che dell’impresa o cooperativa) nell’ambito dell’attuazione della Legge Regionale 3/2014, relativa al reinsediamento produttivo ed occupazionale in agricoltura attraverso la messa a disposizione dei beni agroforestali di proprietà pubblica. Il Partito Democratico vuole farci una vetrina immobiliare e venderli: noi proponiamo di darli a chi non lavora per creare nuove attività produttive, sostenere la filiera corta (semplificando le norme per la lavorazione e la vendita di piccoli quantitativi di prodotti alimentari) e contrastare il consumo del suolo ed il dissesto idro-geologico.

Indichi quali sono i provvedimenti più importanti per il settore dei trasporti. Ritiene la stazione Medioetruria strategica per lo sviluppo dell’Umbria? Cosa intende fare per l’aeroporto?

Nei trasporti non si è giunti, dopo anni di attesa, all’approvazione di un nuovo piano regionale, che dopo il passaggio di proprietà a Trenitalia di Umbria Mobilità avrebbe ben potuto essere il momento per riorganizzare il servizio ed introdurre interventi da tempo attesi, come il biglietto unico regionale e l’integrazione tra gomma e ferro, anche rispetto alla rete FS. C’è il rischio che si proceda alla gara senza avere un Piano vincolante, il che equivarrebbe a dire che la prossima pianificazione la farà l’ente gestore del servizio. C’è anche da dire che la previsione di realizzare ad hoc una stazione per l’alta velocità, da “rifornire” di passeggeri con corse treno e autobus da Perugia”, appare del tutto priva di senso: anche il parallelo con la stazione della media valle padana, usato per giustificare tale scelta, non è sostenibile, vista la differenza dal punto di vista della densità abitativa e del livello di integrazione tra aree rurali e città. Siamo di fronte ad un progetto che con tutta probabilità non troverà mai compimento, su cui si aprirà il più classico dei dibattiti politici, lasciando irrisolto il gap infrastrutturale della Regione. Si potrebbe invece valutare la possibilità di far fermare ad Orvieto (unica stazione umbra attualmente nella rete dell’Alta Velocità) alcune corse, facendone una sorta di “porta d’ingresso” per l’Umbria; un intervento praticamente a costo zero, a cui unire collegamenti funzionali al trasferimento verso gli altri poli turistici regionali. Va inoltre aperta una nuova fase di confronto con Trenitalia rispetto ai collegamenti veloci verso Firenze e Roma e all’adeguamento della rete, permettendo il pieno sfruttamento del potenziale dei Regionali Veloci nella tratta umbra. Riguardo all’aeroporto, va aperta una riflessione sulla sua reale funzionalità rispetto alla promozione turistico-culturale dell’Umbria: se i flussi in uscita sono maggiori di quelli in entrata c’è con tutta evidenza un problema di pianificazione, che non si limita ai collegamenti verso il capoluogo di regione, anche se la riattivazione della stazione di Ospedalicchio, in disuso da oltre trent’anni, costituisce un’indubbia priorità d’intervento. Occorre aprire una fase di concertazione tra compagnie di viaggio, operatori turistici e istituzioni regionali per definire pacchetti turistici integrati, a sostegno di presenze nel territorio più durature e agevoli.

La sanità assorbe il 70 per cento del bilancio regionale. Quali sono le tre priorità e i tre provvedimenti più importanti che intende adottare?

La sanità è un settore che ha costituito nel passato una delle basi su cui si fondava il modello umbro di governo: i tagli e l’incapacità di produrre una nuova fase di programmazione hanno di fatto sancito la fine di quell’esperienza, favorendo il generarsi di fenomeni di malagestione e di governo partitico dei servizi, al punto che ormai gli stanziamenti sono decisi da poche persone: i direttori delle aziende sanitarie, quelli delle aziende ospedaliere, l’assessorato e l’università. La prima cosa da fare è adottare la legge d’iniziativa popolare mai portata in discussione dal consiglio regionale scorso, che prevedeva appunto di assegnare un ruolo fondamentale e centrale al distretto socio sanitario, definendo a questo livello la spesa per ciascuno dei servizi previsti per i LEA, basandosi sui parametri epidemiologici e demografici della popolazione. Un investimento forte sulla prevenzione e la sanità territoriale, che consentirebbe di ridurre il ricorso alle strutture ospedaliere e la crescita delle liste di attesa (specie quelle per le visite programmate), razionalizzando la spesa. La seconda è la revoca della convenzione con l’Università, con la quale la regione ha in sostanza istituito un sistema di delega permanente rispetto alle nomine, alle risorse ed all’equilibrio tra attività di ricerca e di assistenza medica. La convenzione con l’Università deve seguire la definizione di un nuovo piano sanitario regionale (terzo punto), altra promessa non mantenuta dalla giunta precedente e che è all’origine del decadimento del servizio di questi ultimi anni; sono stati fatti i tagli (gli ultimi addirittura autoimposti dai governatori delle regioni italiane, nella misura di 2,5 miliardi di euro per il 2015) ma la spesa è priva di programmazione, strumento essenziale per favorire la partecipazione degli operatori sanitari e della popolazione alle scelte; con il nuovo piano si potrebbe inoltre procedere all’individuazione degli interventi necessari per riqualificare la rete ospedaliera, esigenza questa particolarmente sentita nell’Umbria meridionale, dove a fronte di risorse stanziate dal ministero dal marzo 2013 si è ancora in attesa dei lavori di messa in sicurezza del Santa Maria di Terni e di realizzazione dell’Ospedale unico di Narni-Amelia. Modificare la riforma del 2012, attuare una nuova fase di programmazione e definire un modello di collaborazione con l’Università centrato sulle esigenze di cura della popolazione; una sorta di revisione della spesa alla rovescia rispetto a quella finora operata.

A proposito di trasparenza e partecipazione democratica la Regione ha ancora molto da fare. Cosa intende fare riguardo questi due capitoli?

Abbiamo una legge elettorale dove il premio di maggioranza viene assegnato senza una soglia minima, dove non è previsto il voto disgiunto e dove si concedono corsie preferenziali ai fedeli alleati ed alle opposizioni amiche; leggi regionali che non trovano attuazione o non vengono affatto discusse, come il caso prima richiamato della riforma sanitaria; forzature di ogni genere rispetto all’attuazione di ben precisi impegni con i gruppi di potere locali, come nel caso della modifica del piano regionale di gestione del ciclo dei rifiuti, mai portato all’attenzione del consiglio regionale; silenzi e omissioni rispetto alla realtà della presenza della criminalità organizzata nella nostra regione, come pure riguardo allo stato di salute del territorio e della popolazione esposta agli agenti inquinanti. Restituire la politica alla popolazione è un impegno che investe direttamente il ruolo e la funzionalità delle istituzioni: investire sugli strumenti di partecipazione, istituire le consulte degli utenti dei servizi pubblici locali, adottare norme specifiche contro il conflitto d’interessi e le nomine degli ex politici, integrando le disposizioni nazionali anche rispetto alle nomine per le agenzie regionali. Occorre rendere maggiormente conoscibile l’attività del consiglio, modificando il regolamento del Consiglio Regionale affinché siano pubbliche le sedute delle Commissioni, definendo tempi certi di pubblicazione dei verbali e dei resoconti delle sedute (incluse le registrazioni), come pure l’indicazione per ogni singola votazione della posizione assunta dai consiglieri presenti.

Intende dare vita ad un processo di revisione della spesa magari sollecitando il consiglio all’istituzione di una commissione apposita?

La revisione della spesa è una rivendicazione di vecchia data della sinistra italiana; la truffa da parte del governo è chiamare revisione della spesa i tagli lineari finora fatti, che non hanno razionalizzato alcunché. Il caso delle province, dove a distanza di pochi mesi da una riforma che ne ha eliminato l’elettività è stato operato con la legge finanziaria il dimezzamento delle risorse per il personale, è paradigmatico; il governo costruisce di volta in volta un nuovo “nemico del popolo” per rendere permanente l’austerità, con il silenzio-assenso della nostra regione. Le istituzioni regionali devono assumere direttamente il compito di rendere la spesa realmente funzionale alla fornitura di servizi alla popolazione; una commissione può essere un primo passo, ma serve fare un percorso comune con tutti i portatori d’interesse: la partecipazione è la chiave di volta di un processo democratico di riforma del sistema di governo del territorio. Per questo proponiamo una conferenza regionale per il riordino delle funzioni di governo del territorio, dove si possa finalmente superare la logica dei compartimenti stagni tra i singoli settori ed enti: una discussione che parta dalle funzioni, ne definisca le risorse e il personale, e le conferisca all’ente nelle condizioni di poterle sostenere; questo consentirebbe di rimuovere le sacche di privilegio, che invece con i provvedimenti di questi anni non sono mai state intaccate, mentre a pagarne le conseguenze sono cittadini e lavoratori.

Chiusura del ciclo dei rifiuti: intende proseguire con la produzione di Css? Quali sono i tre provvedimenti più importanti in materia ambientale?

Quella del Css è una scelta sbagliata e pericolosa: l’impatto sul fabbisogno di discarica sarà minimo (la produzione di Css determina comunque un 40% di scarti destinati allo smaltimento), mentre l’ostacolo rispetto alla crescita della raccolta differenziata sarà definitivo, come pure quello verso la creazione di filiere locali del riciclo e del riuso, dalle quali potrebbe scaturire invece la riconversione di interi comparti industriali oggi in crisi. Quel che non viene detto inoltre è che vi sono impianti nel territorio regionale (cementifici e centrali elettriche) che potrebbero benissimo importare il CSS da altri territori, anche se quello regionale verrà venduto altrove. Va dunque modificato il Piano regionale in materia di rifiuti, scongiurando ogni forma d’incenerimento dei rifiuti e adottando la strategia rifiuti zero, da sostenersi con politiche industriali per reinserire nel processo produttivo le materie prime seconde derivanti dai rifiuti: una scelta che ci consentirebbe di non dipendere dal sistema del CONAI, dove i ricavi sono minimi rispetto al costo dell’investimento nella raccolta differenziata. In secondo luogo, va ripristinato il dettato originario del regolamento regionale in materia di fonti rinnovabili, dove la Giunta precedente ha deciso di operare una serie di deroghe che hanno favorito la speculazione energetica. Serve un piano energetico regionale, che favorisca l’impiego delle migliori tecnologie disponibili a livello domestico ed aziendale, in funzione della riduzione delle emissioni di CO2, del trattamento dei reflui zootecnici (ponendo fine ai grandi impianti consortili) e dell’integrazione del reddito agricolo; l’esatto contrario degli impianti alimentati con biomasse provenienti da ogni parte del mondo o dello scellerato progetto eolico nel Comune di San Venanzo. In terzo luogo, occorre esercitare il principio di cautela rispetto alle autorizzazioni ambientali nelle aree a maggiore concentrazione di inquinanti: è bene ricordare che il testo unico dell’ambiente (152/2006) detta i criteri minimi, che ogni regione può integrare con provvedimenti più restrittivi, a seconda del contesto locale. A ciò si aggiunge l’assenza, ad oggi, di indagini epidemiologiche sulla popolazione, assolutamente necessarie per ripristinare un quadro di verità, specie a fronte delle evidenze di questi mesi. L’obiettivo è dare attuazione alle previsioni contenute nel piano regionale per la qualità dell’aria, accompagnando le misure per la riduzione delle emissioni domestiche e di quelle legate alla mobilità privata con interventi mirati su criticità troppo a lungo sottovalutate o disconosciute. In questo modo si potrebbe non solo porre fine alla stagione dell’incenerimento nella conca ternana, ma anche operare per la verifica delle previsioni contenute nelle autorizzazioni ambientali e per l’attuazione dei programmi di bonifica nazionali.

Twitter @DanieleBovi

L’INTERVISTA AD AMATO JOHN DE PAULIS

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