La villa rapinata a Ramazzano

di Francesca Marruco

Si pensava che le rapine venissero messe a segno nelle ville più belle. In quelle case che denotano ricchezza. In quelle  in cui i banditi  sono  certi di trovare qualcosa. Si pensava che chi entra in casa altrui per saccheggiarla di soldi e preziosi non sia interessato a finire in galera a vita con l’accusa di omicidio. Si pensava. L’ultima rapina culminata con il barbaro omicidio di Luca Rosi, il bancario di Perugia, colpevole solo di aver provato a difendere la fidanzata, spariglia tutte le carte in tavola e diffonde paura a macchia d’olio tra la gente, anche quella comune. Anche quella che non vive in ville da ricchi.

Una famiglia normale L’abitazione della famiglia Rosi, situata lungo una stradina sterrata a due passi dal centro di Ramazzano è una casa recintata, con un cancello, gli alberi intorno. Ma non ti fermeresti a guardarla. Non penseresti che possano viverci persone tanto ricche. Ci vivono persone normali, che stanno economicamente bene, ma che non navigano nell’oro. E anche questo potrebbe essere stato uno dei motivi che ha portato i tre rapinatori ad incattivirsi poco prima di uccidere Luca Rosi.

Gli attimi concitati dell’omicidio Avrebbero trovato soldi e qualche gioiello nella cassaforte. Ma forse non tanto quanto pensavano. E allora, quando poco prima di andarsene hanno portato tutti e quattro i presenti nel corridoio e li hanno fatti sedere a terra in fila legandoli con dei fili della corrente, hanno perso completamente la testa. A Mary, la fidanzata di Luca, hanno detto «tu vieni con noi», forse per guadagnarsi la fuga in maniera più sicura. Ma quella frase ha provocato la reazione di Luca che è stato prima colpito nel corridoio ad una gamba e poi finito con tre colpi di pistola nella camera da letto.

Un plotone di inquirenti Il compito di ricostruire tutto adesso tocca ai carabinieri  del comando provinciale di Perugia,  impegnati nell’indagine con diversi reparti dell’Arma insieme a quelli del Ris di Roma, arrivati sabato mattina e rimasti nella villetta per tutta la giornata. Arrivati anche alcuni militari del gruppo Analisi Crimini Violenti. A coordinarli c’è il pubblico ministero Giuseppe Petrazzini che si è recato due volte sul luogo del delitto. Nel pomeriggio i bossoli repertati in nottata sono stati inviati a Roma per essere analizzati insieme alle feci repertate a pochi passi dall’ingresso della villa.

Indagini certosine I militari del Ris sabato hanno passato palmo a palmo tutta la casa in cerca di tracce, impronte utili per identificare i rapinatori. Un lavoro certosino e determinato, spinto dalla volontà ferrea di trovare presto le tre «belve» che hanno ucciso un uomo in quel modo perché ha osato implorarli di non far del male alla sua donna. Domenica riprenderanno lo stesso lavoro nel caos indescrivibile lasciato in casa dopo il passaggio dei tre.

Cresce la violenza Impossibile non pensare che la violenza usata contro le vittime cresce di rapina in rapina. Nell’ultima in ordine di tempo, avvenuta neanche un mese fa a troppa poca distanza da questa di Ramazzano, una donna di 54 anni era stata violentata e la nipotina di 14 anni era stata terrorizzata da due malviventi. Armati. Incappucciati. Con i guanti. Con accento dell’Est europeo. Come quelli che a dicembre dello scorso anno erano entrati in un’altra abitazione di Casa del Diavolo. In tutti e tre i casi i banditi sono entrati in azione di venerdì sera. In tutti e tre i casi intorno alle 22.30.

Chi sono? Coincidenze o indizi? Dalla rapina con lo stupro è stato isolato del Dna. Dalle feci repertate a Ramazzano potrebbe uscirne un altro. Che non sia lo stesso. Quello di un uomo, che insieme ad altri, indossa i guanti per non lasciare impronte, ma poi uccide perché perde la pazienza. E l’eco del pianto straziante di una mamma mentre le portano via il figlio in una bara è la misura di un fenomeno che diventa sempre più preoccupante.