«bianco nero» da oggi alla galleria nazionale di perugia (foto f.troccoli)
«bianco nero» da oggi alla galleria nazionale di perugia (foto f.troccoli)

di Daniele Bovi
Twitter @DanieleBovi

Tra un Perugino e un Beato Angelico, un «Cellotex» di Alberto Burri. Si chiama «Bianco Nero» l’opera (datata 1971) del maestro di Città di Castello acquisita nel 2011 dalla Galleria nazionale dell’Umbria e lasciata nei depositi fino a giovedì pomeriggio quando, in una delle sale della Galleria di Perugia, è stata presentata alla città dal soprintendente Fabio de Chirico e dal professor Italo Tomassoni della Fondazione Burri. Acquisizione arrivata in modo singolare grazie ad una legge del 1982: una norma che consente di pagare le imposte dirette cedendo allo Stato, per chi ha la fortuna di possederle, delle opere d’arte.

FOTOGALLERY: LA PRESENTAZIONE DELL’OPERA

Quasi sfrontato E così, nella collezione d’arte della Galleria che deve le sue fortune alle opere del Medioevo e del Rinascimento, arriva un contemporaneo Burri. «L’inserimento – dice De Chirico – potrebbe apparire quasi sfrontato. Lo stupore deve però lasciare lo spazio a una riflessione sulla continuità. Burri è un maestro della modernità e la sua opera rappresenta per noi un arricchimento con cui guardare l’arte del passato. Arte da guardare con un atteggiamento estetico rinnovato». In pochi giorni così, la Galleria ha aperto le sue porte prima, grazie a un deposito deciso dall’omonima famiglia, all’Annunciazione Ranieri del Perugino e poi a un «Cellotex» del maestro di Città di Castello.

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Museo come luogo di scambio «E’ un’opera – prosegue soprintendente – grazie alla quale dobbiamo guardare verso il futuro cercando di migliorare i percorsi e le strategie. Il museo – conclude – deve diventare luogo di scambio e di crescita, non solo di conservazione». Un’opera, perché no, che rappresenta anche la speranza di aprire in futuro una sezione dedicata all’arte del Ventesimo secolo: «Speriamo – dice Tomassoni – che sia solo l’inizio. L’arte non si sviluppa solo orizzontalmente ma anche verticalmente. Questo Burri rappresenta un’esaltazione della diversità». Il cellotex altro non è che un materiale industriale fatto di cellulosa, segatura e colla che Burri iniziò a usare all’inizio degli anni Settanta. Ed è anche per il suo collocarsi nel 1971, all’inizio della nuova avventura del maestro, che questo «Bianco Nero» assume un elevato valore artistico.

Superficie materica «Burri – spiega Tomassoni – prende questo materiale che arriva dall’industria e lo strappa, lo taglia, lo brucia creando superfici materiche e intervenendo in seguito anche coi colori». Colori che, insieme a forma e materia, rappresentano le tre chiavi di interpretazione di «Bianco Nero». Un nero opaco (un mix di vinavil e pigmento) che si riallaccia secondo Tomassoni ai grandi neri della storia dell’arte usati da Goya o Velázquez. «In questo colore tenebroso – dice Tomassoni – c’è una grande luminosità ed esercita una grande attrazione». La linea, la forma, è quella classica: «Per Burri – spiega il professore – un “ritornante”. Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta il maestro ritrova classicità e una dimensione aurea creando un’opera in perfetto equilibrio tra bianco e nero, tra pieni e vuoti».

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