di Massimo Colonna

Le indagini sulla truffa ai malati sono iniziate nel 2014 tra Rieti e Terni e sono scattate «dalla denuncia di una donna che si era sottoposta al trattamento e che aveva avuto effetti negativi sulla propria condizione». Sono gli ultimi particolari sulla inchiesta della truffa ai malati, che il 27 settembre scorso gli inquirenti hanno reso pubblica e che ha portato all’arresto di cinque professionisti. Del caso si è parlato anche nella trasmissione di Rai Uno ‘La vita in diretta’, mentre nel frattempo gli avvocati delle persone coinvolte stanno lavorando alla strategia difensiva.

La trasmissione L’associazione a delinquere denunciata dagli inquirenti è dunque finita oggetto di due puntate della nota trasmissione tv di Rai Uno, in cui sono stati ascoltate alcune testimonianze ed è stata ricostruita la dinamica di quanto emerso nelle ultime settimane. A fare il punto della situazione per quanto riguarda gli inquirenti c’era Alfredo Luzi, vicequestore aggiunto e dirigente della squadra mobile della questura di Terni che ha condotto le indagini con il coordinamento del sostituto procuratore Marco Stramaglia. «Tutto è partito nel 2014 – ha spiegato Luzi – quando una paziente che aveva deciso di seguire questo percorso ha constatato che stava avendo effetti negativi sulla sua condizione. Per questo si è rivolta alla polizia. Da lì poi è partita tutta una serie di accertamenti, anche tramite intercettazioni telefoniche, che ci ha permesso di fare luce su questa vicenda».

Le indagini Come noto tutto è partito dalla procura di Rieti, visto che secondo l’accusa la farmacia in cui si preparavano i medicinali utilizzati per il protocollo denominato ‘Seven to stand’ era proprio nella cittadina laziale. Poi gli uffici di Antonella Maiali, dirigente della Mobile reatina, hanno contattato i colleghi di Terni una volta scoperto il legame con il centro estetico ternano.

Le difese La trasmissione ha lasciato spazio anche alle difese, in particolare all’avvocato Pietro Carotti, che difende Fabrizio De Silvestri, ritenuto il capo dell’organizzazione, e anche la fisioterapista Annalisa Grasso. «Il mio assistito – ha spiegato l’avvocato ai microfoni di Rai Uno – non era a capo dell’associazione e devo dire che non ha mai fatto un uso ambiguo del suo titolo di dottore, dottore in legge ovviamente (la procura contesta che si presentasse come un dottore senza averne titolo, ndr). Anche perché esercita l’avvocatura in diverse città d’Italia. Per quanto riguarda la sua funzione lui era solo il testimonial dell’efficacia del trattamento». Nel frattempo le difese preparano le richieste al tribunale del Riesame dopo le decisioni del giudice per le indagini preliminari Simone Tordelli relative alla conferma o meno delle misure cautelari. Tutti gli avvocati, compreso il legale Marco Gabriele che segue Edoardo Romani e Pierluigi Proietti, hanno infatti depositato istanza di attenuazione delle misure e sono in attesa della fissazione dell’udienza. Nei giorni scorsi il gip aveva concesso i domiciliari a Proietti e al farmacista reatino Giovanni Petrini.

@tulhaidetto

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