di F.T.
Un dramma assurdo, ancora vivo nella mente e negli occhi di chi l’ha vissuto in prima persona. La sera del 22 agosto del 2011 il piccolo Filippo Lambiase, tredici mesi appena, precipitò dal balcone di casa. Un volo di cinque piani che non gli lasciò scampo: il bimbo morì poche ore dopo il ricovero in ospedale.
Dinamica Il piccolo viveva con i genitori in un appartamento posto al quinto piano, che si affaccia sulla ‘piazzetta’ di borgo Rivo. Sul parapetto del balcone, per proteggerlo dai possibili rischi, il padre aveva predisposto una rete protettiva. Filippo si infilò proprio nell’unico pertugio ancora non protetto, fra il muro del terrazzo e il primo asse della ringhiera.
Indagati Per quella vicenda la procura ha chiesto il rinvio a giudizio di quattro persone con l’accusa di omicidio colposo: i due direttori dei lavori individuati nel corso delle indagini, il legale rappresentante della società che commissionò la costruzione dell’edificio e il tecnico che realizzò materialmente la ringhiera.
Distanze Secondo gli inquirenti, il dramma si sarebbe potuto evitare se solo si fossero rispettate le norme che fissano in 10 centimetri la distanza massima fra gli elementi verticali di ringhiere e parapetti. Sul terrazzo teatro dell’assurda tragedia, di centimetri fra il muro e il primo elemento della ringhiera ce n’erano 12.
La perizia Martedì mattina il gup Pierluigi Panariello ha affidato l’incarico al perito, l’ingegner Luigi Boeri, che dovrà rispondere a tutta una serie di quesiti volti a chiarire con precisione la situazione e il contesto normativo. Il consulente – a cui potrebbero affiancarsi i periti nominati dalle difese – dovrà accertare l’eventuale rispetto dei requisiti di sicurezza della ringhiera posta a protezione del balcone e, al tempo stesso, valutare i certificati di agibilità rilasciati in base alla normativa di riferimento, stabilendo la conformità dell’opera rispetto al progetto. In ultimo dovrà individuare con precisione la proprietà, la committenza e i soggetti a cui è stata affidata la direzione dei lavori, conclusi nel luglio del 2000. Il consulente depositerà le proprie conclusioni entro il prossimo 6 maggio. L’esito verrà discusso nell’udienza già fissata per il 16 luglio.
Interrogato Sempre nell’udienza di martedì mattina, uno dei quattro indagati – ingegnere, direttore dei lavori – ha chiesto e ottenuto di essere ascoltato dal giudice. Il tecnico ha affermato di essersi «attenuto al regolamento edilizio esistente all’epoca dei fatti, quello approvato dal comune nel 1980» che, non specificherebbe «alcuna distanza massima fra gli elementi dei parapetti». Il quadro normativo di riferimento è comunque più ampio, anche se per l’ingegnere «il decreto ministeriale 236 del 1989 si riferisce soprattutto all’eliminazione di barriere architettoniche e ai criteri di progettazione per gli spazi comuni pubblici».
Parti civili Durante l’udienza l’avvocato Massimo Proietti – legale dei genitori del bimbo, parti civili – ha esibito un documento che attesta l’abitabilità parziale degli edifici, con esclusione delle parti commerciali, sottoscritto dai direttori dei lavori nel settembre del 2000. Un certificato che attesta la dichiarazione di conformità anche in relazione al decreto 236. Lo stesso legale sarebbe pronto ad avanzare una richiesta di risarcimento di un milione di euro.