di Marco Torricelli
Milioni. E milioni di milioni. Forse i 23, di cui si parla adesso, sono ancora pochi per quantificare il reale disavanzo delle casse della Diocesi di Terni. Soprattutto perché, a fianco delle ‘grandi’ operazioni – il san Girolamo di Narni, il santa Monica di Amelia, le Orsoline di Terni, ma non solo, perché le indagini in corso puntano anche in altre direzioni – ce ne sono state una miriade, medie, piccole e spesso condotte con una spregiudicatezza imbarazzante, che adesso emergono dai racconti di chi, fino a ieri, anche per paura, taceva.
Caso esemplare Quello relativo al castello di San Girolamo, insomma, sarebbe una sorta di ‘caso di scuola’, che gli inquirenti stanno studiando con cura, perché conterebbe tutti gli elementi che, poi, porterebbero alla comprensione di una serie di altre operazioni che, negli anni, avrebbero contribuito in maniera determinante al crack. A cominciare dal sistema usato per il finanziamento. E che sarebbero state, sì, gestite dai personaggi finiti in carcere, ma che avrebbero potuto contare su coperture, interne ed esterne alla Diocesi, di livello superiore.
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Citarei Un sistema che, lo ha spiegato ad Umbria24 l’imprenditore Sandro Citarei, prevedeva che si usassero soldi di ‘soggetti terzi’, dietro la promessa di futuri profitti. Citarei, che secondo il sostituto procuratore Elisabetta Massini avrebbe ottenuto un «ingiusto profitto» da quella operazione, ha detto di aver effettivamente contribuito all’acquisto del castello con 400mila euro, ma solo per garantirsi, poi, la possibilità di essere coinvolto nelle successiva, e mai avviate, attività di recupero dell’immobile.
Perotti Ma nella stessa ordinanza, con la quale il Gip, Pierluigi Panariello, ha disposto gli arresti dei giorni scorsi, oltre al nome di Citarei compare anche quello di Adriano Perotti ed anche a lui – che a sua volta non risulta tra le persone indagate – viene contestato un «ingiusto profitto» ottenuto nella medesima operazione. Ora, Adriano Perotti è il proprietario della Peredil, che produce e vende materiali per l’edilizia, e la domanda che ci si pone è se anche lui, per conto dell’azienda, possa aver fatto un ragionamento simile a quello dell’altro imprenditore. Perotti, però, almeno per ora, fa dire da una gentilissima centralinista di essere «impegnato» e che «richiamerà». E, in effetti, richiama: «Io sono a disposizione della magistratura – dice – alla quale sono pronto a spiegare come e perché sono entrato in quell’operazione. Le posso dire, però, che l’unico motivo vero era quello di assicurare lavoro alle imprese ed al loro personale».
L’omertà Quello che appare certo è che la crepa che si è aperta – nel muro di omertà che aveva permesso, negli anni, che la Diocesi fosse utilizzata come base operativa per una serie di operazioni spericolate e, negli ultimi mesi, tentato disperatamente quanto inutilmente di far passare tutto sotto silenzio – non si richiuderà. Anche perché quelli in corso sono giorni di verifiche incrociate, anche di alcune dichiarazioni spontanee che stanno arricchendo il dossier e che permetteranno di mettere a fuoco meglio quale fosse la tecnica.
Piccoli traffici Che prevedeva anche piccoli traffici sottobanco. Come quello che ha interessato il monastero di Santa Caterina di Amelia o, almeno, una piccola parte di esso. Un appartamento, in sostanza. Che secondo le regole doveva essere utilizzato dai sacerdoti, ma che, invece, sarebbe stato affittato, ad una famiglia di stranieri, con una procedura curiosa.
Il Prefetto Il monastero di Santa Caterina, come le chiese del buon Gesù e di san Paolo di Orvieto, rientrano nel patrimonio del ‘Fondo edifici di culto’, che fa capo al ministero dell’interno e che, a livello provinciale è amministrato dai prefetti. Quello ternano, un paio di anni fa, si accorse che lì, ad Amelia, era successo qualcosa di strano, tanto che, prima, chiese spiegazioni alla Diocesi e poi arrivò a pretendere 25mila euro – attraverso un piano di rientro, concordato con un alto prelato della Diocesi – che sarebbe stato l’importo versato negli anni per l’affitto di quell’appartamento e mai ‘girato’ al Fondo.
La tecnica E mentre in procura si lavora a mettere in fila le cose, all’interno della Diocesi ci si prepara ad un’altra fase dell’operazione ‘pulizia’ – la prima aveva portato alle ‘dimissioni’ di Galletti, Zappelli e Pasqualini, poi tornati alla ribalta nel modo che sappiamo – che procederà, almeno così si dice, con la tecnica del ‘carciofo’. I primi ad essere invitati a farsi da parte; con grazia e, forse, trovando loro una collocazione esterna; saranno personaggi di secondo piano (laici e religiosi) che, magari senza ottenere vantaggi economici, hanno però visto quanto stava accadendo ed hanno taciuto.
La svolta Poi, piano piano – ed il lavoro che attende il ‘moderatore’, don Franco Fontana, che si insedierà ufficialmente il 1° agosto, sarà anche questo – si passerà alle foglie interne: ma ci potrebbe essere un’eccezione, rappresentata da quel monsignor Roberto Bizzarri – giudice del tribunale ecclesiastico, ma il cui incarico sarebbe attualmente sospeso – che rischia di dover lasciare la parrocchia di Campomicciolo. I motivi, se vorrà, li spiegherà monsignor Ernesto Vecchi.