di Ivano Porfiri
«Se non ci dai quello che chiediamo finisce male per te e la tua famiglia, sappiamo che hai dei figli, qui si mette male». Queste le minacce «tipiche di una modalità ‘ndranghetistica», che secondo i carabinieri di Perugia avrebbe subito un notaio e per le quali sono finiti in carcere due uomini di origine calabrese ma da anni residenti in Umbria: un 50enne che vive a Magione e un 28enne residente a Ponte Felcino. Loro, destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare, con le accuse di tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiosa, detenzione e porto abusivo d’arma da fuoco, sono già stati trasferiti da Capanne a un’altro carcere italiano.
Episodio grave L’operazione, iniziata nel luglio 2015 e conclusa alcuni giorni fa con gli arresti, è stata illustrata nel corso di una conferenza stampa dal comandante provinciale dei carabinieri Cosimo Fiore, dal maggiore Carlo Sfacteria, comandante del reparto operativo, e dal capitano Salvatore Pascariello, comandante del nucleo investigativo. «L’episodio – ha sottolineato il colonnello Fiore – è da considerarsi molto serio e grave perché è tipico di modalità diffuse in altre zone d’Italia, ma allo stesso tempo ci dice che, per fortuna, qui a Perugia, grazie al controllo del territorio e all’azione di magistratura e forze di polizia, casi simili vengono stroncati sul nascere. Così come era avvenuto, ad esempio, nel caso dell’indagine ‘Quarto Passo’».
I lavori all’origine Secondo la ricostruzione fornita dai carabinieri, tutto nasce dalla conoscenza tra il 50enne, titolare di un’impresa edile, e il professionista. I due si conoscevano per la comune origine calabrese e anche perché il notaio gli aveva affidato alcuni lavori di ristrutturazione di un immobile. Poi c’erano stati dei problemi e il professionista ha cambiato ditta per completare i lavori.
Allo studio con la pistola Il 50enne avrebbe tentato a più riprese abboccamenti, sempre respinti, già dall’estate 2014. Ma il fatto più grave avviene il 28 luglio 2015. Secondo la ricostruzione fornita dai militari, il 50enne ha prima un contatto con il notaio, poi si presenta nel suo studio accompagnato dal 28enne, «nipote – secondo quanto riferito – di un esponente di spicco di un’organizzazione criminale condannato in via definitiva». Proprio i legami di parentela sarebbero state la leva per la presunta richiesta estorsiva. Ma è la modalità a indurre i carabinieri alle preoccupazioni maggiori. «I soldi – ha spiegato il comandante Fiore – sono stati chiesti per ‘agevolare la vita di parenti in carcere’. E’ un modo tipico dei comportamenti mafiosi, tanto da indurre i magistrati a contestare l’aggravante. In più è stata mostrata una pistola».
La denuncia Il notaio, a quel punto, però, reagisce. «Innanzi tutto – ha affermato il maggiore Sfacteria – si è rivolto alle forze di polizia, denunciando e raccontando nel dettaglio le minacce subite. In questo modo ha fatto partire le complesse indagini, che si sono protratte per circa un anno fino ad appurare gli elementi che hanno poi portato all’ordinanza di custodia cautelare».
Cani sciolti I carabinieri, rispondendo a una domanda dei cronisti, hanno sottolineato come gli elementi emersi facciano ritenere che i due, pur «affiliati al gruppo criminale di Strongoli, in provincia di Crotone», siano comunque due «cani sciolti» e non tramiti di una richiesta estorsiva proveniente dalla Calabria. «Da una conversazione – è stato in tal senso precisato – è emerso che parte dei soldi sarebbero serviti a pagare il matrimonio di uno dei due».
Sezione ‘Alta sorveglianza’ In un comunicato ufficiale del Comando provinciale dell’Arma dei carabinieri è spiegato che i due calabresi, «riconducibili alla famiglia ‘ndranghetista Giglio operante a Strongoli», sono stati indagati dalla Direzione distrettuale antimafia di Perugia. Stando a quanto riferito gli indagati, «attivi nel settore dell’edilizia nella nostra provincia, hanno avanzato presso lo studio professionale della vittima una richiesta estorsiva di imprecisate somme di denaro ‘per i carcerati’ e hanno mostrato al professionista una pistola, ammonendolo e minacciandolo di stare ‘molto attento’». «Entrambi gli indagati – prosegue la nota del Reparto operativo – in un primo momento sono stati accompagnati nel carcere di Perugia-Capanne, a disposizione dell’autorità giudiziaria, poi sono stati trasferiti nell’istituto penitenziario di Terni dove è presente la sezione Alta sorveglianza».