Ilaria Alpi

L’accusa lanciata al somalo Hashi Omar Hassan dal connazionale Ahmed Ali Rage, conosciuto col soprannome di Gelle, riguardo l’omicidio della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e dell’operatore Milan Hrovatin, assassinati a Mogadiscio il 20 marzo del 1994, secondo i giudici della Corte d’assise d’appello di Perugia che nel processo di revisione hanno assolto Hashi dopo 26 anni di carcere per non aver commesso il fatto è «contraddittoria, del tutto inattendibile e plausibilmente falsa». Il processo era scaturito da una deposizione di Gelle, fatta in sede di rogatoria della procura di Roma, che scagionava Hassan.

FOTOGALLERY: IL PROCESSO A PERUGIA

Il supertestimone non aveva assistito all’agguato «L’ho fatto solo per andarmene via dal Paese» ha detto Gelle spiegando il motivo delle sue accuse. Nei vari processi ai quali era stato sottoposto a Roma, Hassan aveva sempre respinto le accuse sostenendo che il giorno dell’agguato lui era ad una distanza di 300 chilometri. Nelle 30 pagine di motivazioni, i giudici del capoluogo umbro ricordano come la ritrattazione di Gelle risale al febbraio del 2015 quando fu rintracciato da Chi l’ha visto? a Birmingham. In particolare il somalo rivelò che non era un testimone dell’agguato in cui morirono i due inviati della Rai e che le sue accuse ad Hassan erano la conseguenza della volontà degli «italiani di chiudere il caso e trovare un colpevole».

VIDEO: GLI ACCUSATI E LA RICOSTRUZIONE

Mancano le prove Secondo i giudici della corte di appello di Perugia, Hassan non solo «non era presente sul posto al momento dello scontro a fuoco» e quindi «deve ritenersi del tutto estraneo ai fatti in mancanza di prove che dimostrino, al di là di ogni ragionevole dubbio, non solo di avere fatto parte del gruppo di soggetti a bordo della Land Rover, ma anche di essere stato presente avanti all’Hotel Hamana».

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