di Enzo Beretta
Nel bene e nel male Mario Benedetti c’è sempre stato. Senza mai scendere neppure per un minuto dal carro dell’amico Francesco Totti. Il rinnovo del contratto? «Francesco non deve dimostrare niente a nessuno perché ha sempre risposto sul campo alle provocazioni. Nessun altro alla Roma ha il suo carisma e lui può ancora dare tanto. E’ il calciatore italiano più forte di tutti i tempi». Quella tra Mario, ex Digos di Perugia, e il Capitano, è un’amicizia di vecchia data. Nata quasi per caso.
Come andarono le cose?
«Se ci penso ancora mi vengono i brividi. Il pomeriggio del 27 novembre 1994 la Roma di Carletto Mazzone vinse 3-0 il derby. Balbo, Cappioli, Fonseca. Il Principe corse sotto la Curva Sud a indicare il numero tre con le dita. Ero a bordo campo a festeggiare quando si avvicinò il mio amico Peppe Giannini invitandomi a seguirlo a Trigoria con tutta la squadra. In quella circostanza mi venne presentato un ragazzetto coi capelli biondi che mi disse: Piacere, Francesco. Se ne andarono praticamente tutti con le mogli e le fidanzate, rimanemmo soltanto io e quel ragazzino, con la borsa, che aspettava la madre Fiorella per tornare a casa…».
A Roma quel ragazzino sarebbe diventato famoso almeno quanto il Papa…
«Ne ha fatta un po’ di strada…».
Poi con Francesco Totti siete diventati amici.
«Ci siamo salutati con la promessa che ci saremmo rivisti e così è stato: l’anno successivo la Roma è venuta in trasferta a Perugia. Per me Francesco è un amico vero, sono stato ospite alla festa del suo matrimonio, quell’invito è stata una grande dimostrazione di affetto. E’ sempre un piacere vederlo e appena posso vado a trovarlo».
BENEDETTI PROVA A FRENARE L’URAGANO LUCIANO GAUCCI
Ad onor del vero sei mancato poche volte allo stadio.
«Nei momenti cruciali sono sempre stato al suo fianco. Mi viene in mente il campionato del 2001: la sera del 17 giugno ero a casa sua a festeggiare lo scudetto. Fuori dai cancelli di Trigoria c’erano migliaia di tifosi e il preparatore atletico di Francesco, Vito Scala, mi ha chiesto di accompagnarlo all’Eur con la mia macchina per evitare che venisse riconosciuto. Dio mio che notte… Cosa avrei potuto chiedere di meglio? Quell’anno è stato mitico: un’altra volta dal centro sportivo Fulvio Bernardini abbiamo portato via in incognito Totti, Batistuta e Montella col furgone di una lavanderia… C’ero anche nei momenti meno allegri, come quando si è infortunato alla caviglia contro l’Empoli pochi mesi prima del mondiale in Germania del 2006. Poi sappiamo com’è andata a finire… Quando ci siamo visti a Düsseldorf mi ha detto: Aho, tutto a posto? Che sei venuto a fa’ fino a quassù?».
Qualcosa di simile è avvenuto anche prima di Roma-Palermo, quando Spalletti non ha gradito una sua intervista e l’ha messo in tribuna…
«Francesco merita rispetto. Per restare fedele alla Roma ha rinunciato al Real Madrid. Non so quanti lo avrebbero fatto… Prima di Roma-Palermo ci siamo incrociati nella sala vip dell’Olimpico e mi ha fatto la solita domanda: Che sei venuto a fa’?. E io gli ho risposto: E tu, allora?. Ha capito che ero lì per stargli vicino in un momento delicato, ha abbozzato un sorriso e m’ha detto Andiamo a vederci la partita in tribuna. Francesco è un campione e ha impiegato poco tempo per dimostrare a tutti che ad un fuoriclasse bastano scampoli di partita per essere determinante. E’ stata emozionante la doppietta al Torino, il mister l’ha fatto entrare all’85mo minuto sull’1-2 per gli ospiti ma lui in due minuti e 36 secondi ha lasciato il segno risolvendo tutti i problemi…».
ROMA-PALERMO, MARIO GUARDA LA PARTITA IN TRIBUNA INSIEME AL CAPITANO
Rudi Garcia, nel suo libro ‘Tutte le strade portano a Roma’, racconta l’ufficio di Totti a Trigoria. Lo paragona ad un museo e scrive: ‘Caspita! Un giocatore in attività dispone di una stanza personale all’interno del suo club’.
«Non vedo cosa ci sia di male, Totti è il Capitano. Il suo ufficio è bellissimo, c’è ogni istante della sua immensa carriera: ci sono le foto della moglie Ilary e dei suoi figli, la scarpa d’oro assegnata dall’Uefa nel 2007, la World Cup, il selfie sotto la Sud dopo la rovesciata a Marchetti. Le pareti sono tappezzate delle sue magliette e di quelle che continua a ricevere dalle più grandi stelle del calcio. Il classico regalo di Natale è la maglia autografata con la dedica A Mario, con amicizia. In tutto ho 23 maglie di Francesco, sin da quando ha iniziato a giocare. Ho quella giallorossa col numero 17, quella col numero 10 dello scudetto, quelle azzurre della Nazionale indossate ai mondiali in Corea e a Berlino. La collezione si aggiorna: la maglia nera della Champion’s League del 2015, la fascia da capitano, ho perfino un paio di scarpini usati… Francesco è un grande uomo: quando, attraverso i suoi amici di sempre Vito e Valerio, gli chiedo di procurarmi qualche gadget per i bambini con problemi di salute non si è mai, ripeto mai, tirato indietro. Non ha mai negato un sorriso alle persone più bisognose».
Totti è il giocatore italiano ad aver segnato più gol con la stessa squadra, 304, il secondo di tutti i tempi in Serie A. E’ anche il marcatore più anziano in Champion’s League. Secondo te qual è il suo gol più bello?
«Non è una domanda semplice perché ne segna tanti e in maniera sempre diversa. Sicuramente però quel tiro all’angolino a Marassi contro la Sampdoria con la gamba sinistra martoriata. Perfetto per stile, coordinazione, potenza, precisione. In più era appena rientrato da un grave infortunio. Francesco, come pochissimi altri, è stato capace di far alzare in piedi i tifosi avversari per ricevere applausi in stadi abituati al grande calcio. Soltanto due mesi fa l’ultima standing-ovation al Bernabeu. A proposito di gol indimenticabili ripenso al cucchiaio a Peruzzi del 5-1 alla Lazio…».
Nel 2011 durante la telecronaca di un derby finito 2-0 (con doppietta del Capitano) un giornalista inglese ha coniato una frase passata alla storia: The king of Rome is not dead.
«Sì, tanto perché fuori dal Gra non lo conosce nessuno…».
Prima di diventare insegnante di Krav-Maga ti divertivi a giocare in porta. Hai mai sfidato il Capitano ai rigori?
«Dal dischetto non riescono a fermarlo i professionisti, figuriamoci io… Da portiere la soddisfazione più bella me la sono tolta durante una visita di Tony Blair in Italia. Sono stato incaricato di scortare l’allora primo ministro inglese che per una settimana ha alloggiato in una tenuta vicino Siena. Si era creato un bel rapporto col politico e i suoi agenti della sicurezza, ogni giorno giocavamo a calcetto: polizia italiana contro polizia inglese. Blair giocava con loro. Gli inglesi però erano scarsi, perdevano sempre, così per equilibrare le squadre sono passato con gli avversari che grazie alle mie parate hanno finalmente vinto una partita… Qualche mese più tardi all’ufficio Digos mi è arrivato un invito ufficiale per una cerimonia a Londra. A Victoria Station sono salito sul taxi e col mio inglese maccheronico ho dettato l’indirizzo all’autista: Downing Street, number ten. Quello mi ha guardato stupito e ha esclamato incredulo What?. Così gli ho replicato, stavolta in romano: Leggi qua, hai capito bene, Downing Street diéci. Sennò che so’ venuto a fa’ fino a quassù? Piove pure…».