di Marco Torricelli
Quella scossa di terremoto, alle 6,58 del 18 maggio del 2006, la sentirono in pochi. Tanto che non ci furono chiamate: né all’osservatorio ‘Bina’ di Perugia, né, tanto meno, ai vigili del fuoco. Però una parte del tetto della chiesa di San Liberatore, a Miranda, venne giù. E sì che una delle tante ditte che spesso lavoravano per il vescovo, Vincenzo Paglia, lo aveva rifatto da poco.
La Pro loco «Un crollo – commentò, infatti, il presidente della Pro loco di Miranda, Moreno Sorgenti – che ad un primo esame sembra vanificare i recenti lavori di restauro». Ovviamente «abbiamo subito avvertito i competenti uffici della Diocesi». Ecco, la Diocesi: quella che aveva commissionato – e pagato – i precedenti lavori di rifacimento del tetto della chiesa. La speranza, disse Sorgenti, «è che il ripristino avvenga nel più breve tempo possibile».
Sette anni I lavori per rifare – di nuovo – il tetto di quella chiesa, sono stati riaffidati da non molto. Tale, forse, sembrava «il più breve tempo possibile». Ma forse ce ne vorrà un po’di più. Perché sette anni dopo, appunto, una ditta ha ricevuto in appalto i lavori, ma li ha immediatamente subappaltati ad una seconda; la quale, dopo aver aperto il cantiere, qualche mese fa, al momento non ci sta lavorando: semplicemente perché non ha ancora ‘visto un euro’. I dipendenti della Diocesi, insomma, non sono i soli a non essere pagati. E il ‘non’ tetto sta lì.
Di crollo in crollo Di storie, fatte di tempi lunghi e di crolli – come di soldi e finanziamenti, peraltro – la Diocesi è una miniera. Basti pensare a quella della chiesa del Crocifisso di Amelia, che ospita l’associazione Ameria umbra-Corale amerina. Il cui presidente, Giorgio Pagliaricci, a ottobre del 2000 (non è un errore; ndr), scrive al parroco della parrocchia per sollecitare un controllo «urgente e necessario, avendo riscontrato l’accentuarsi di alcune anomalie relative al solaio». E il parroco si attiva, visto che a gennaio del 2001 la Diocesi fa sapere di aver ricevuto «nella persona del direttore amministrativo, geometra Galletti Luca» la richiesta e per dichiararsi disponibile «ad un sopralluogo della struttura per il rilevamento e verifica della staticità e funzionalità della stessa». Poi nulla più, per cinque anni.
Telegrammi A novembre del 2005, infatti, è il direttore della Corale amerina, Gabriele Catalucci, a prendere l’iniziativa: con un telegramma a Luca Galletti, in cui «si rinnova richiesta ispezione tetto chiesa Crocifisso Amelia. Si declina ogni responsabilità»; al quale con altro telegramma – sorprendente – Galletti risponde così: «Dichiaro di non avere conoscenza, né rapporti, con Corale Amerina né con S.V. Non sapendo a che titolo occupiate e siate responsabili della chiesa, vi invitiamo a non usufruirne se ritenete insufficienti le condizioni di sicurezza». Non li conosce? La sintesi è importante, ma forse non aiuta.
Lettere Tanto che Gabriele Catalucci decide di spiegarsi meglio, con una lettera, sempre a Galletti, nella quale si afferma che «la sua memoria ha bisogno di un piccolo aiuto», visto che in passato aveva mostrato di conoscere bene l’associazione e mettendo in evidenza che quella chiesa è sede di Ameria umbra da «circa trenta anni» e come a sue spese sia stato restaurato «l’organo settecentesco, curandone la manutenzione». Gli fa anche presente che sono andati a vuoto tutti i tentativi di contattarlo e – facendo presente che le infiltrazioni si aggravano – gli fa notare che «quanto ai pericoli, credo spetti a lei stabilire se sussistano o meno». Stessa segnalazione viene fatta, a giugno 2006, a Margherita Romano, sovrintendente per i beni archeologici e il patrimonio storico e artistico, alla quale si evidenzia che «nel corso di questi anni» si è chiesto «più volte» un sopralluogo alla diocesi.
Altri anni Il tempo passa, e tanta acqua si infiltra nel tetto e cola sulle pareti della chiesa del Crocifisso. A febbraio del 2010 Luca Galletti riceve l’ennesima lettera: «La situazione è gravissima – gli viene scritto – una parte del controsoffitto, marcita, sta letteralmente cadendo» e gli si chiede di intervenire, magari stornando «anche solo momentaneamente il finanziamento Cei (perché i finanziamenti non sono mai mancati; ndr) già approvato a favore della chiesa di Montecampano». Ma è tempo perso. Visto che, quattro mesi, dopo a Galletti viene scritto che «il soffitto della chiesa è per metà crollato». E che lì dentro ci sono danni ingenti. Amen. Sono passati dieci anni, dalla prima segnalazione. Poi il tetto è venuto giù. C’è solo un dettaglio da aggiungere: la ditta che avrebbe dovuto effettuare i lavori era la Marconi di Todi. Sì, la stessa che compare in altre operazioni diocesane: tra le altre in quella che ha portato all’acquisto del castello di San Girolamo di Narni. Già, quello delle informazioni di garanzia.