di M. To.
Sottovoce, ma lo dicono. Il centro di ricerca sulle cellule staminali è a rischio. Fortemente a rischio. O, per essere più precisi, ad essere messa in discussione è la sua permanenza a Terni.
Il centro I locali di quel palazzone – per ristrutturarlo, i lavori sono finiti da tre anni, sono stati spesi sette milioni di euro, cinque dall’Ater e due dalla Regione – sono praticamente inutilizzati e tutto sarebbe legato all’impasse che tiene di fatto bloccata la fondazione, alla quale non avrebbero fatto bene la sostituzione di Francesco Quadraccia – che si era dimesso – con Edoardo Sanguinetti, la spending review che impone maggiore accortezza da parte del Comune e il progressivo allontanamento della Camera di commercio. Ma ci sarebbe molto altro.
Lo statuto Perché alle viste c’è anche un cambio dello statuto della fondazione: quello in vigore prevede, infatti, che nel consiglio di amministrazione sieda anche il vescovo, ma monsignor Giuseppe Piemontese non appare per nulla interessato alla cosa, a differenza del suo predecessore, monsignor Vincenzo Paglia, che invece è ancora attivissimo e avrebbe addirittura partecipato all’ultima riunione del Cda. In quale veste non è dato sapere. La modifica dello statuto potrebbe riguardare anche questo genere di rappresentanze.
La governance Quello che, sempre sottovoce, di dice in buona sostanza è questo: la fondazione cellule staminali è, semplicemente, bloccata – il professor Angelo Vescovi e la sua equipe lavorano, ma l’attività di governance è ferma – e c’è bisogno di rimettere in moto tutto l’ambaradan. Magari spostando il centro decisionale da un’altra parte. Tipo Roma.
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I laboratori Ma il passo successivo – e probabilmente decisivo – rischia di essere un altro: posizionare il centro di ricerca in un altra città. Si era parlato dell’ospedale ‘Padre Pio’ di San Giovanni Rotondo, ma adesso spunta anche una pista che porta a Forlì, dove ha sede la ‘Sorgente’, un gruppo di società biotecnologiche collegate ad una banca del cordone ombelicale di Lipsia in Germania. E il palazzone ristrutturato con un barca di soldi pubblici rischia di rivelarsi l’ennesimo flop cittadino.