Medici al lavoro (foto archivio F. Troccoli)

Cittadinazattiva e Tribunale per il diritto del malato promuovono a metà l’atto di indirizzo varato nei giorni scorsi dalla giunta regionale sulle visite in regime di intramoenia. Atto in cui ci sono «molto aspetti condivisibili» così come «punti che non condividiamo», tra i quali la conferma del ticket che passa dal 29% al 20%. Un sì convinto arriva ad esempio sull’obbligo, se la visita avviene in un ambulatorio privato esterno dove si fa la cosiddetta «intramoenia allargata», di pagare solo con sistemi tracciabili. Idem anche per il tetto massimo di 200 euro così come per la delimitazione degli spazi e la definizione degli orari. «Alquanto umoristica» invece viene definito un passaggio del comunicato della giunta, ovvero quello dove si dice che «l’intramoenia non va considerata uno strumento per la riduzione delle liste di attesa» e che «non possono essere erogate in regime libero professionale prestazioni non erogate dalla stessa azienda in regime istituzionale». «Sempre più spesso infatti – commentano Cittadinanzattiva e Tribunale – accade che il cittadino che si reca al Cup si senta rispondere che le liste sono chiuse e che il servizio pubblico non è in grado di dargli una data definita per l’esame richiesto».

COSA PREVEDE L’ATTO DI INDIRIZZO

Cosa va fatto Per non fa sì che quanto voluto dalla Regione rimanga una «dichiarazione di principio», si chiede un aumento delle ore di servizio istituzionale così da diminuire quelle in intramoenia, specialmente per le «prestazioni più intasate. Lo abbiamo chiesto mesi fa – scrivono – ma nulla è stato fatto». Inoltre, come avviene in Emilia, si chiede che quando certe prestazioni non si possono fare, quella libero professionale nella struttura pubblica va sospesa, «onde incrementare il servizio pubblico dove c’è una situazione critica». «Ciò che succede in Umbria – è detto ancora nel comunicato – denota non solo una inefficienza inammissibile, è un preciso reato che si chiama interruzione di pubblico servizio e che si traduce nella negazione di un diritto a persone che spesso non possono avere alternative e che comunque hanno pagato per avere un servizio».

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