di Ivano Porfiri
I media devono stare molto attenti nel comunicare rispetto al cosiddetto Stato islamico perché rischiano di fare il gioco di chi sa usare molto bene gli strumenti di propaganda più moderni, anche perché «appaiono molto più di quello che sono». E anzi tentare una «contronarrazione» su ciò che davvero avviene nei territori occupati dall’Isis. E’ il messaggio emerso dal dibattito sui ‘Media occidentali alle prese con la propaganda del terrore’, avvenuto al Festival internazionale del giornalismo di Perugia.
La scelta di non far vedere Punto di partenza la scelta, spiegata dal direttore di SkyTg24 Sarah Varetto, di non mandare in onda i “video del terrore”. «Noi abbiamo deciso immediatamente, lo scorso agosto – ha detto – quando circolava la prima decapitazione che mai avremmo mandato in onda alcun video, abbiamo mostrato solo un frame iniziale coprendo la vittima per rispetto. Lo abbiamo fatto soprattutto per non essere strumento di propaganda, per non fare da grancassa all’orrore».
I pubblici segmentati «Purtroppo – ha spiegato il responsabile della comunicazione istituzionale del Dis (l’organismo che sovrintende ai servizi di intelligence), Paolo Scotto di Castelbianco – sono molto bravi a comunicare, hanno saputo modulare la loro propaganda goebbelsianamente con una presenza continua ma segmentandola verso i loro diversi tipi di pubblico: chi è dentro il califfato, gli occidentali, le donne, i giovani immigrati cioè ‘i reclutabili’, gli alleati potenziali come Boko Haram. Poi c’è il pubblico dei giornalisti e blogger, che possono fare il loro gioco amplificando i loro messaggi. Per ciascuno di questi pubblici ci sono messaggi e quasi nessuna contronarrazione da parte dell’Occidente, finora abbiamo quasi solo corso dietro ai loro messaggi. La contronarrazione andrebbe fatta raccontando quello che davvero avviene in quei territori».
Religione strumento di propaganda Per il direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian «ciò che colpisce maggiormente è la strumentalizzazione della religione, lo strumento propagandistico più forte, che va respinto con molta chiarezza. Da parte del Papa questo è stato fatto in modo molto netto e non da adesso. Già al tempo dell’incontro di Assisi del 1986 di Giovanni Paolo II era chiarissimo il rischio della strumentalizzazione delle religioni. Anche Ratzinger a Colonia nel 2005 incontrò un gruppo di musulmani e chiese un fronte comune contro il terrore. E Bergoglio fin dai primi giorni del pontificato ripete questi temi. La preghiera in Vaticano per la Siria è stata un gesto molto forte.».
Appaiono più di quanto sono Per il direttore di Limes Lucio Caracciolo per interpretare i messaggi dell’Isis «prima di tutto va capito chi sono. La genialità sta nel marchio: “Stato islamico” è perfetto perché richiama all’Islam puro e vincente delle origini, che si espandeva. La loro propaganda, appunto, sta nell’apparire molto più di quanto siano. Enfatizzando la loro propaganda abbiamo fatto il loro gioco, anziché parlandone con sobrietà dicendo quello che sono veramente. Il paradosso oggi è che chi combatte davvero sono contro lo Stato islamico sono gli iraniani, noi occidentali facciamo poco o nulla se non bombardare. Loro sono anche dei trafficanti, senza soldi non fai uno Stato: i reperti archeologici e il petrolio esportati via Turchia finiscono in Occidente e quindi noi alimentiamo anche economicamente i loro propositi».
Distinguere realtà da propaganda L’espressione «sono molto meno di quanto appaiano», secondo Scotto di Castelbianco «dovrebbe essere sempre presente nei nostri ragionamenti». «Sono stati bravissimi – ha rimarcato – a passare dal reale al virtuale. Molto materiale che circola sono fake, poi c’è un materiale stantio, vecchio che viene riproposto e, una volta ripreso dai media, l’intelligence deve intervenire per spiegare e rassicurare. Una più attenta certificazione delle fonti e dell’attualità dei materiali sarebbe necessaria. Quindi – ha concluso – stiamo tutti attenti, parliamoci più spesso per distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è».