di Fabiola Gentili*

Questa storia l’ho già raccontata, ma torna sempre alla mente. Sono passati 30 anni, ma è impossibile dimenticare Lorenzo e quei giorni drammatici. Lo sguardo poi è sempre fisso sul mostro, che ogni anno rischia di tornare in libertà. La prossima udienza per decidere è prevista in autunno.

Il mio primo articolo lo scrissi il 7 agosto del 1993. Avevo 13 anni. Mi venne di getto, dopo aver saputo dalla tv del secondo omicidio del mostro di Foligno. Aveva ammazzato Lorenzo, a pochi passi da casa mia. Lo avevo visto due sere prima, eravamo amici, cugini ritrovati dopo il ritorno della sua famiglia in Umbria, dalle Marche. Avevamo giocato a carte, parlato del futuro. Avevamo la stessa età, lui sognava di fare l’ingegnere, io la giornalista. Di una cosa eravamo entrambi sicuri: dopo le scuole medie, il liceo classico, possibilmente nella stessa classe.

Poi il mostro e la fine dei sogni. Appresi la drammatica notizia dal telegiornale: ucciso un altro bambino a Casale, dissero, si chiama Lorenzo; il delitto è opera del cosiddetto mostro di Foligno.

Pensai che non poteva essere vero, che si erano sbagliati: con Lorenzo ci eravamo visti appena due giorni prima! Chi era il mostro di Foligno? Possibile che stava a Casale, in quel piccolo e tranquillo paese di montagna a pochi passi da noi? Poi mamma telefonò a qualcuno del posto e capii che era tutto vero. Volevo andare lì a vedere. Giustamente, non mi ci portarono. Ascoltai tutto il giorno le notizie in tv, guardai quelle immagini assurde. Non piansi. Le lacrime arrivarono più tardi.

Mi chiusi in sala, con una penna Bic blu, un foglio protocollo a righe e il vocabolario Zingarelli su un tavolo di legno scuro, con sopra una tovaglia fatta all’uncinetto. Ricordo tutto, come fosse adesso.

Uscii dopo un’oretta, con un foglio in mano scritto in maniera ordinata. In quelle righe, ricordavo Lorenzo, i suoi sogni, le sue speranze, la nostra chiacchierata di due sere prima, chiedevo giustizia pensando che la morte del mio amico ritrovato si potesse evitare. Sì, perché il mostro era lo stesso che, pochi mesi prima, aveva ucciso il piccolo Simone, 4 anni, gettandone il corpo proprio nei boschi vicini a Casale.

Chiamai mamma e papà: dovete portarmi a Foligno, dissi. Devo andare al Corriere dell’Umbria (il giornale che leggevamo più spesso), per dire a tutti ciò che penso di quel mostro. Mi guardarono stupiti e incerti. Poi si convinsero e mi ci portarono la mattina dopo.

Mi tremavano le gambe, salendo le scale per raggiungere la redazione. E se non interessa? E se non lo pubblicano perché ho scritto male? Pensavo tra me e me…

Suonammo ed entrammo. Mio padre spiegò la situazione. Poi fui io stessa a farlo, con il mio articolo stretto in mano. Fu un giovane redattore dai capelli neri e mossi a occuparsi di me, oggi l’amico e collega Mauro Silvestri.

Il mio articolo ebbe “successo”. Il giornalista del Corriere corresse solo una parola: “individuo” al posto di “essere”, riferito al mostro. A me piaceva di più “essere”, era più sprezzante, ma mi adeguai.

Il pezzo uscì il giorno dopo, con questo titolo: “Così si uccidono sogni e speranze”. Poi fu ripreso da altri giornali locali e anche da un paio di testate nazionali.

Quell’articolo è ancora incorniciato nella mia cameretta, insieme alla foto di Lorenzo.

Oggi, 30 anni dopo, giornalista lo sono davvero. Lorenzo e la sua storia tragica e assurda hanno segnato per sempre la mia vita e accompagnato la mia avventura professionale.

Ho scritto tanti articoli sul mostro di Foligno, seguendone la vicenda giudiziaria. Ho sempre cercato di capire. All’esame da giornalista professionista, parlando di nera e giudiziaria, discussi il caso del mostro di Foligno e proposi una tesi dedicata a Lorenzo e al coraggio di suo padre, Luciano, impegnato nel difficile percorso del perdono e nella tutela dei diritti dei bambini.

Il mostro di Foligno è uscito dal carcere nel 2015 e oggi è ricoverato in una Rems in Sardegna. Una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, in pratica un ex ospedale psichiatrico giudiziario.

Ogni tanto esce fuori la notizia che possa essere rimesso in libertà, avendo già scontato tutta la pena inflitta e dovendo periodicamente essere sottoposto a valutazione. L’ultimo articolo su questo tema risale proprio a 2 giorni fa su La Nazione, a firma di Erika Pontini: l’udienza per decidere se può tornare libero è prevista in autunno. Un’ipotesi di fronte alla quale, anche oggi, a mente lucida e più matura, provo un senso di ribrezzo e angoscia. Come tutti. O forse di più, ricordando Lorenzo e il dolore e la rabbia per la sua fine.

Luigi Chiatti è un assassino seriale. E’ un pedofilo che ha seviziato e ucciso due bambini, promettendo di farlo ancora dopo essere stato catturato. Di certo è malato e socialmente pericoloso. Lo è sempre stato, ma hanno preferito ignorarlo: ci sono volute le vite innocenti di due bambini, Simone e Lorenzo, per dimostrarlo. Ha detto ai magistrati: se esco lo faccio ancora. Una esplicita e inequivocabile richiesta di essere fermato, una supplica, non un pentimento: come ha ricordato su La Nazione l’avvocato Giovanni Picuti, legale delle famiglie di Lorenzo e Simone,

A distanza di tanti anni, con il foglio protocollo bianco che ha lasciato spazio a un’agenda nera e a uno smartphone, sogno di potermi trovare faccia a faccia con lui per poterlo intervistare, per capire meglio perché. Non a Foligno però. Non in Umbria. Qui non c’è posto per lui. Non in un luogo qualunque. Qui fuori non c’è posto per lui. Perché i mostri stanno lontani, chiusi dove non possono far del male a nessuno.

*Fabiola Gentili, giornalista professionista ha postato il ricordo sui social

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