L'avvocato Francesco Mattiangeli campione del mondo di Subbuteo 2016

di Enzo Beretta

Il Subbuteo è un gioco democratico. La forza delle squadre non dipende dal denaro o dall’ingaggio dei calciatori. Il solo mezzo per vincere è l’intelligenza del giocatore alle prese con undici soldatini barcollanti. Tre centimetri d’altezza, anima di piombo e un unico obiettivo: fare gol nella porta di plastica. Francesco Mattiangeli, avvocato ternano di 49 anni, è appena tornato dal Belgio con la coppa del mondo. Insieme al perugino Stefano De Francesco ha appena vinto il campionato a squadre categoria «veteran» con indosso la maglia della nazionale azzurra.

Mattiangeli, partiamo dalla panchina: qual è il suo modello di allenatore?
«Adoro la mentalità vincente di Carletto Ancelotti ma nel Subbuteo non posso schierare l’albero di Natale. Scendo in campo con una barriera composta da 7 difensori e tre attaccanti».

Neanche il peggior Trapattoni…
«Difesa forte e ripartenze. Intanto bisogna non prenderle, le tattiche poi cambiano in base alla strategia dell’avversario».

E quale squadra utilizza?
«Una: la Ternana».

E’ un gioco democratico. Non me ne voglia, la Ternana campione del mondo… Parliamo di questi mondiali, finale contro i padroni di casa, semifinale con la Spagna. Le Furie Rosse non faranno mica il tiki-taka anche sul tappeto verde?
«Ci avranno pure provato ma non gliel’abbiamo consentito. La partita è finita 4-0».

Il gol più bello della carriera?
«Al golden-gol a Manchester quando ho vinto la mia prima medaglia d’oro nei campionati individuali del 2012: un gran pallonetto dall’angolo sinistro che ha spiazzato il portiere rimasto immobile in attesa del tiro rasoterra».

E’ il ‘cucchiaio’ il suo colpo preferito?
«Preferisco il tiro al volo. Da qualsiasi posizione. Mi creo lo spazio nel cuore dell’area con gli attaccanti, l’ala crossa al centro e il mediano entra in velocità».

E’ dannatamente poetico il calcio in punta di dita. E’ anche disciplina. Si narra che perfino Silvio Berlusconi abbia uno stadio in miniatura nella sua villa di Arcore.
«A casa a Terni ho una stanza in cui mi alleno. Sempre di meno, purtroppo. Certe volte gioco con mio fratello. L’allenamento è stancante e può durare al massimo tre ore però serve a dare automatismo ai colpi. Come nel biliardo».

Triangoli nello stretto, assist millimetrici, penalty dagli undici centimetri. A che età la prima esperienza col Subbuteo del futuro campione del mondo?
«Avevo 12 anni quando mio padre mi regalò il primo Subbuteo. Quelle sul compensato tra Arsenal e Tottenham erano sfide infinite. Negli anni ho avuto tante squadre, il Super Attak non mancava mai per riparare le ginocchia brutalmente fratturate degli omini. Anche perché all’epoca acquistare una squadra era un mini-investimento da 16 o 18mila lire… Ora sono geloso della mia Ternana e del Torino».

Avvocato, ha mai pensato di assicurare il dito indice della sua mano destra?
«C’è chi lo fa. Preferisco stare attento agli infortuni…».

Quante partite ha disputato con la nazionale italiana di Subbuteo?
«Ho perso il conto, dal ’99 ne avrò giocate una sessantina».

Ricorderà certamente la sconfitta più bruciante.
«Come dimenticarla: quella ai calci di rigore contro la Germania nel 2010 al termine di un tiratissimo 0-0. Era la mia prima finale mondiale».

A livello agonistico è ancora romantico il calcio da tavolo?
«E’ soprattutto tecnica e concentrazione. Ai mondiali non si vedono figurine con creste, tatuaggi, scarpini colorati o altre decorazioni. Per chi ama davvero il calcio è pur sempre mille volte meglio della PlayStation. Fa conoscere anche tante persone in più».

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