Il famigerato Byron Moreno

Prosegue il percorso di avvicinamento di Umbria24 ai Campionati mondiali di calcio, che partiranno il 12 giugno. Vivremo il countdown con 11 puntate dello speciale ‘Aspettando Brasile 2014′: un percorso tra storia, aneddoti, curiosità con la speranza che sia di buon auspicio per gli Azzurri

ASPETTANDO BRASILE 2014: TUTTE LE PUNTATE

BRASILE 2014: CALENDARIO COMPLETO

di Leo Forleo

Quando si parla di Nazionale Italiana e di “disfatta” il pensiero non può che andare immediatamente ad una partita e ad un avversario ma, più semplicemente, ad una parola: Corea. Fu talmente grande lo scalpore di quell’imprevedibile e clamorosa sconfitta, di ormai quasi mezzo secolo fa, che la parola Corea, nel nostro dizionario, è diventata proprio un sinonimo della parola “disfatta”. Ma la cosa più incredibile è che mai avremmo immaginato, noi italiani, che a distanza di 36 anni avremmo vissuto un’altra Corea. Ma andiamo con ordine.

Nel 1966 l’Inghilterra, per la prima volta, è il paese organizzatore della fase finale dei Campionati del Mondo di Calcio (l’allora Coppa Rimet). Si giocava, quindi, in casa degli “inventori” del calcio moderno che, vincendo il loro ancestrale complesso di superiorità, partecipavano per la prima volta ad un Campionato del Mondo di calcio che, infine, riuscirono a vincere: prima e, finora, unica volta che gli inglesi si siano aggiudicati un Mondiale. Erano i favolosi anni Sessanta e sull’isola britannica, così come in tutto il mondo, soffiava un giovane vento di ribellione e spopolava la musica dei Beatles, i quattro ragazzi di Liverpool. Erano i Mondiali di Pelè e del suo Brasile campione in carica, della Pantera nera Eusebio (scomparso a Gennaio di questo 2014) e dei soliti, inossidabili tedeschi di capitan Beckenbauer.
Noi ci presentavamo con una squadra dalle ottime individualità (Mazzola, Rivera, Facchetti, Bulgarelli) e con a disposizione un talento che avrebbe potuto (e dovuto) essere impiegato con più continuità e fiducia: la “farfalla” del Torino Gigi Meroni. Il CT era l’onesto Fabbri che però sarebbe stato spazzato via dal ciclone coreano. Fu un mondiale disastroso: dopo l’incoraggiante avvio con vittoria contro il Cile (2-0, vendetta della cocente sconfitta subita 4 anni prima in casa loro), arrivò la sconfitta contro i sovietici che ci imponeva, per proseguire nel cammino di quel Mondiale, di battere la modesta Corea Del Nord (impresa tutt’altro che proibitiva). Quella asiatica non solo era una Nazionale di cui non si sapeva nulla ma, ancor di più, rappresentava proprio un Paese, la Corea Del Nord appunto, di cui non si sapeva nulla, che addirittura non era riconosciuto in Occidente, nato sulle ceneri di una lunga e sanguinosa guerra civile negli anni Cinquanta.

E così, il 19 Luglio di quel lontano 1966, nello stadio Ayresome Park di Middlesbrough, incontrammo i quasi sconosciuti nord-coreani in quella che sarebbe divenuta (inaspettatamente e per nostra disgrazia) una partita storica.
C’è poco da raccontare di quella sfida: la nostra superiorità era tale che nessuno poteva solo immaginare un risultato diverso dalla nostra vittoria e, infatti, anche la partita stava rispettando le previsioni. Attaccavamo con pericolosità e prima o poi avremmo segnato. Ma quel gol non arrivava e così i nostri avversari iniziarono a prendere fiducia, spinti anche da un incredibile orgoglio, frutto forse anche della loro storia personale. Iniziammo a soffrire ed al 42esimo del primo tempo successe l’imponderabile: il famoso dentista Pak Doo Ik (che, dopo diversi anni, si scoprì che non era per niente un dentista e quella fu solo una leggenda metropolitana) indirizzò un potente tiro da fuori area verso la porta difesa da Albertosi, tiro che, tra lo stupore generale, si insaccò. Il primo tempo finì e la ripresa non andò certo meglio. Passavano i minuti e diventavamo sempre più imprecisi e nervosi e alla fine, clamorosamente, perdemmo e fummo così eliminati da quel Mondiale. Fu un vero e proprio trauma, una vergogna sportiva e i nostri Azzurri vennero accolti, al rientro in Italia, da insulti e ortaggi di vario genere. Da allora, da quel lontano 19 Luglio del 1966, la parola Corea divenne, come detto, sinonimo di “disfatta”.

Nel 2002 si celebrano i tanto attesi Mondiali di Calcio di Corea e Giappone, primi Campionati organizzati in due paesi contemporaneamente e primi che non si disputavano ne’ in America e ne’ in Europa. Sono i Mondiali dei campioni in carica della Francia (che faranno una figuraccia, eliminati dopo il girone eliminatorio con zero vittorie e zero gol fatti!), dei soliti favoriti brasiliani di Ronaldo (che alla fine risulteranno vincitori del Torneo), della ugualmente solita Germania e anche della nostra Italia del CT Trapattoni. Ma, sulla nostra strada, ci troveremo davanti i padroni di casa della Corea (questa volta del Sud) che si riveleranno, ahinoi, insuperabili.

Noi disputiamo un girone mediocre: infatti, dopo l’esordio vincente con il modesto Ecuador (2-0, doppietta di Vieri), incappiamo in un’aspettata sconfitta con i croati (1-2 con solito ma inutile gol di Vieri) e ci qualifichiamo grazie ad un soffertissimo 1-1 con il Messico, conquistato a 5 minuti dalla fine con un gol di testa di Del Piero. E’ abbastanza chiaro che la nostra squadra non “gira”, abbiamo delle notevoli potenzialità non sfruttate ed il buon Trap, a parte farsi notare in panchina per riti quasi pagani con una bottiglietta di acqua benedetta, non è in grado di migliorare le cose.
La Corea, invece, stravince il suo girone con 7 punti e va ad incontrare agli Ottavi la seconda del gruppo G: l’Italia, appunto. Dopo 36 anni è di nuovo Italia-Corea e questo abbinamento, inevitabilmente, fa tornare alla memoria antichi fantasmi.

I coreani, a dispetto dei valori tecnici, ci credono e sfruttano proprio quel famigerato precedente per tentare di metterci in difficoltà. Quando il giorno prima del match i nostri Azzurri si allenano nello stadio di Daejeon, vengono accolti, nell’irreale silenzio dello stadio deserto, da una “spettrale” scritta disegnata sui seggiolini dello stadio: AGAIN 1966. Il riferimento ai fatti del mondiale inglese è fin troppo chiaro e ai nostri iniziano a tremare le gambe. Tremarella e sensazioni negative che si amplificano quando quel 18 Giugno del 2002 i nostri entrano in campo in uno stadio che dire ostile è dire poco, stracolmo di tifosi che in una delle curve ripropongono l’enorme scritta quasi a voler pilotare il destino.

La partita è, per noi, molto difficile sia, come detto, dal punto di vista ambientale che prettamente calcistico: i coreani non sono certo quelli di 36 anni prima, sviluppano un gioco apprezzabile, sono guidati in panchina dal “mago” olandese Guus Hiddink e schierano tra le proprie fila giocatori che, per il loro valore, giocano in Europa. Tra questi, J.H. Ahn che gioca nel Perugia di Cosmi e Gaucci. Noi, di contro, non siamo brillanti, come non lo siamo stati nel girone, e dobbiamo fronteggiare non solo i giocatori in maglia rossa ma anche un altro avversario non previsto che condizionerà in modo forse decisivo l’andamento della partita: l’arbitro Byron Moreno. E si capisce da subito quali siano le intenzioni dell’”uomo nero”: 5 minuti appena ed è già rigore per gli asiatici. Per fortuna il nostro Buffon para il calcio di rigore e dopo poco, al 18esimo, passiamo in vantaggio col solito Vieri che devia di testa in porta un calcio d’angolo di Totti. Il nostro Bobo si mette l’indice alla bocca per zittire tutto lo stadio e dall’Italia lo guardiamo con gioia, cercando di scacciare i fantasmi. I nostri avversari subiscono il colpo, non reagiscono e così si arriva senza patemi all’intervallo. Nel secondo tempo, però, cambia tutto: incoraggiati da uno stadio traboccante di entusiasmo, i nostri avversari iniziano a premerci nella nostra metà campo. Abbiamo un paio di occasioni in contropiede ma non le sfruttiamo e si arriva, fatalmente, agli ultimi minuti quando un errore in disimpegno di Panucci permette al coreano Seol di insaccare il pallone dell’insperato pareggio. Si va, così, ai supplementari. Lo stadio, a quel punto, diventa una vera e propria bolgia e l’arbitro, ormai in preda ad un delirio, da’ il meglio di se (per così dire): gol annullato all’Italia, espulsione di Totti e decisioni quasi a senso unico. Gli Azzurri sono in balia degli eventi, frastornati, e noi, che li guardiamo da casa, iniziamo ad avere un tremendo presagio che, purtroppo, si concretizza a pochi minuti dalla fine del secondo tempo supplementare: è proprio Ahn che svetta di testa in area e segna il gol del vantaggio, il golden-gol che chiude la partita. Ancora una volta, incredibilmente, la Corea per noi si rivela una disfatta. Sembra impossibile ma a distanza di 36 anni la storia si ripete.

Nel concitato post-partita perdiamo tutti la lucidità per giudicare una partita che poteva e doveva andare diversamente e ce la prendiamo, colpevolmente, solo con l’arbitro, il folkloristico Moreno (che, comunque, ne aveva combinate di ogni). In Italia, addirittura, il vulcanico presidente del Perugia, Lucianone Gaucci, licenzia in tronco il giocatore coreano Ahn, che aveva segnato il gol della vittoria, farneticando che non poteva pagare lo stipendio ad un calciatore che aveva rovinato il calcio italiano.

Il superamento degli Ottavi di Finale per la Corea Del Sud, in quel Campionato del Mondo, andava già oltre le più rosee previsioni (e ottenuto con mezzi forse non limpidi) ma il “meglio” doveva ancora venire: infatti, contro la Spagna, ai Quarti, ci fu il vero grande “furto”. Ma questa è un’altra storia.

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