Un seggio alla sala dei Notari di Perugia (©️Fabrizio Troccoli)

di Daniele Bovi 

I soldi come noto non fanno la felicità – neppure quella elettorale – ma di sicuro una bella mano se si vuol essere eletti la danno. Se può sembrare cinico collegare il numero di voti alla quantità di soldi spesa, dall’altro lato sarebbe molto ingenuo pensare che siano una variabile irrilevante, anche se i casi di successo di Davide contro Golia non mancano. Tra spin doctor, sondaggi, manifesti, santini, vele, pranzi, cene, aperitivi, rimborsi, staff, pubblicità, sponsorizzazioni sui social e galoppini, bruciare molte migliaia di euro in pochi giorni è un gioco da ragazzi.

LA MAPPA: GLI ELETTORI A PERUGIA QUARTIERE PER QUARTIERE

Le regole Candidati sindaco e aspiranti consiglieri comunali devono rispettare dei tetti di spesa ma, come al solito in Italia, complice l’abolizione del finanziamento pubblico e non solo le zone grigie non mancano. A regolare la materia delle spese è un mix di leggi che risalgono al 1993 (anno dal quale è scattata l’elezione diretta dei sindaci) e al 2012. I candidati sindaco di una città come Perugia, che cade nella fascia tra i 100 mila e i 500 mila abitanti, possono spendere al massimo 125 mila euro, più una quota variabile pari a un euro per ogni elettore iscritto; tenendo conto che quelli perugini sono 130 mila, il tetto è di 255 mila euro. Per molti un lontanissimo miraggio. 

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Le cifre Per quanto riguarda i candidati al consiglio comunale invece il tetto è di 12.500 euro più cinque centesimi per ogni elettore, per un totale quindi che a Perugia sarebbe di 19 mila euro. Per partiti e liste civiche il tetto è di un euro per ciascun elettore, quindi 130 mila euro. Anche in questo caso, cifre che moltissime realtà non vedranno neanche nei sogni. Ogni candidato se vuol spendere una cifra superiore ai 2.500 euro – sotto questa soglia è quasi impossibile impostare una campagna elettorale minimamente efficace – deve nominare un mandatario elettorale che utilizzerà un solo conto corrente.

Rendiconti Entro tre mesi dal volto gli eletti devono presentare una rendicontazione al presidente del Consiglio comunale e al Collegio regionale di garanzia elettorale, organo al quale devono presentare tutta la documentazione anche i non eletti; partiti e liste entro 45 giorni dall’insediamento sono invece tenuti a presentare un consuntivo alla Corte dei conti e all’Ufficio elettorale centrale. Nei documenti vanno riportate tutte le spese relative ai materiali, alla pubblicità, ai manifesti, agli eventi, al personale, ai servizi ricevuti e via così. Per i candidati che non le depositano le multe vanno dai 25 mila ai 103 mila euro. Se invece si superano i limiti di spesa funziona così: il Collegio elettorale di garanzia applica una sanzione tra l’importo che eccede il limite e il suo triplo, ma se questo tetto viene superato di almeno il doppio scatta la decadenza. 

I costi Ma quanto costa una campagna elettorale a Perugia? Per un’agenzia di comunicazione di livello nazionale in grado di supportare un candidato sindaco, si parla di cifre a quattro zeri. Gli spazi dei 6×3 e delle affissioni in città in parte sono gestiti dai privati e in parte dalla Dogre, la concessionaria per il Comune del servizio di affissioni. Per i privati si parla di circa 300-400 euro ogni 6×3 per una settimana, ma con delle variabili relative alla posizione dell’impianto e ad altre caratteristiche (come ad esempio l’illuminazione). Per quanto riguarda Dogre va invece pagata la tassa di affissione, circa 100 euro per ogni 6×3 per un periodo di 15 giorni. All’inizio di marzo, quando Vittoria Ferdinandi è entrata in campo e con il centrodestra partito invece con grande anticipo, gli spazi erano stati logicamente occupati da mesi; quelli liberi erano solo una manciata.

Dalle vele ai santini Molto costose sono le cosiddette vele elettorali, i piccoli furgoni in giro per la città con i volti e gli slogan dei candidati. Il prezzo è di circa 100 euro al giorno, un po’ di più se il faccione del candidato viaggia con l’autista lungo un percorso prestabilito. Per battere efficacemente un territorio – anche tenendo conto delle dimensioni di Perugia – ne servirebbero almeno due: in sintesi, due vele in giro per la città per una settimana costano quasi 1.500 euro. Poi c’è la selva delle stamperie e dei servizi forniti anche online: per esempio per 15 mila tra santini e brochure se si sceglie una realtà locale potrebbero bastare anche 600-700 euro; ovviamente, più se ne chiedono più il prezzo può scendere. E poi ancora ci sono gli spazi pubblicitari sugli autobus, quelli sui giornali, le sponsorizzazioni sui social e le spedizioni dei materiali nelle cassette postali.

Le spese Il cibo è un altro grande protagonista delle campagne elettorali. Chi può organizza cene di sottoscrizione, altri si mettono alla caccia di voti offrendo aperitivi, pranzi e cene in hotel, ristoranti, golf club, bar, circoli e così via: «Per me – racconta un candidato consigliere – è impossibile pensare di organizzare eventi elettorali in un locale e non offrire niente. Quanto ho speso finora? Molto. Solo una cena mi è costata 3.200 euro, tra qualche giorno offro un aperitivo per altri 400 euro. Oggi tra benzina, caffè e aperitivi ne avrò spesi 150 per incontrare una manciata di persone». Chi può assume staff per curare la comunicazione e la segreteria, garantendo almeno rimborsi a chi porta in giro il materiale. Per altri, specialmente per chi può contare su una rete di partito strutturata, ci sono almeno i paracadute dei volontari e delle sedi in cui organizzare incontri e iniziative. 

Chi spende e chi no Insomma, molti dei candidati più strutturati e che ritengono di poter conquistare un posto in aula investono cifre importanti per ottenere le preferenze; per tanti altri invece la campagna elettorale è necessariamente low cost, specialmente quando non ci sono grandi speranze di ottenere uno scranno e quando non si hanno grandi mezzi, né personali né partitici. Per chi invece ha alle spalle potenziali finanziatori, zone grigie o possibilità di aggirare i tetti ci sono. 

Zone grigie Teoricamente nelle rendicontazioni andrebbero riportate anche i contributi o i servizi che arrivano da persone fisiche o da soggetti diversi, come le imprese. «Se però, ad esempio, si fanno acquistare a terzi servizi come quelli tipografici, l’allestimento di un palco, un sondaggio e così via – dice a Umbria24 Dino Amenduni, tra i soci dell’agenzia Proforma per la quale si occupa di comunicazione politica e pianificazione strategica – diventa complicato capire chi li ha pagati, a chi e con quale modalità; a meno che non si spulci fattura per fattura». E invece capire, in caso, chi finanzia una campagna elettorale permetterebbe di garantire un ulteriore livello di trasparenza e accountability. Al di là di Perugia, il dato incontrovertibile è che la politica ha bisogno di soldi e che a distanza di un decennio dall’abolizione del finanziamento pubblico a opera del governo Letta il problema trasparenza è tutt’altro che risolto. E il caso Liguria non sembra aver insegnato nulla almeno per il momento.

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