di Dan.Bo.

Con le modifiche annunciate dal Governo ai criteri per la classificazione dei Comuni montani, in Umbria i territori riconosciuti come tali scenderebbero da 69 a 32. È uno degli effetti più rilevanti della proposta illustrata dal ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli e al centro della discussione della Conferenza delle Regioni riunitasi mercoledì.

Le novità La riunione è stata convocata per un primo confronto politico sulle modifiche alla normativa, che dovranno accompagnare l’attuazione della nuova legge quadro sulla montagna. Secondo quanto illustrato dal ministro giorni fa in occasione della Giornata internazionale della montagna, l’intenzione è quella di rivedere in modo uniforme a livello nazionale i criteri che definiscono un Comune montano, riducendo il numero complessivo dei territori riconosciuti. La proposta punta soprattutto su parametri fisici: quota del territorio sopra una certa altitudine, pendenza del suolo e, in via residuale, la collocazione geografica rispetto ad altri Comuni montani.

I numeri In base alle stime del Governo, con questi criteri i Comuni montani in Italia passerebbero da oltre quattromila a circa 2.800; non essere classificati come tali avrebbe un impatto diretto sulla possibilità di accorre a fondi, agevolazioni, servizi pubblici e contributi di diverso tipo. Insomma, non tanto una questione di forma ma di sostanza, specialmente per quelle aree interne e montane già in sofferenza tra spopolamento e carenza di servizi.

La riunione Nel corso della Conferenza, la maggior parte delle Regioni ha espresso forti perplessità sull’impostazione della riforma e sull’impatto che avrebbe soprattutto lungo la dorsale appenninica. Per l’Umbria, come spiega in una nota l’assessora regionale Simona Meloni, la riduzione sarebbe particolarmente marcata. «La proposta di riforma dei criteri per la definizione dei comuni montani – scrive – rischia di colpire duramente l’Umbria e, più in generale, di aprire una frattura profonda nel Paese». Secondo Meloni, si tratta di una revisione che «non tiene conto della reale conformazione territoriale, della fragilità infrastrutturale e del ruolo strategico che le nostre aree montane e collinari svolgono».

I rischi L’assessora ha anche messo in guardia dal rischio di una contrapposizione tra territori alpini e appenninici. «Si arriverebbe a spaccare l’Italia in due – dice – dimenticando che la dorsale appenninica rappresenta il cuore geografico, storico e identitario del Paese», aggiungendo poi che indebolire questi territori «significa accelerare l’abbandono, svuotare le comunità e mettere in crisi servizi essenziali». Da qui la richiesta, condivisa da diverse Regioni, di riaprire il confronto con il Governo per una revisione più equilibrata dei criteri.

Presciutti Sulla stessa linea si colloca la posizione di Autonomie locali italiane. Martedì, alla vigilia della Conferenza unificata, il vicepresidente nazionale di Ali Massimiliano Presciutti ha parlato di una scelta che rischia di avere effetti strutturali. «La proposta di riclassificazione dei Comuni montani – sostiene – rappresenta un errore grave, sia nel metodo sia nel merito», avvertendo che «riduce la montagna a una questione puramente altimetrica e morfologica, ignorando le condizioni reali in cui vivono le persone». Secondo Presciutti, l’operazione annunciata dal ministro Calderoli «non serve a rafforzare la montagna, ma a ridurre platee e risorse», creando una competizione tra territori e «spaccando il Paese tra chi resta dentro e chi viene escluso». «Colpire l’Appennino significa colpire l’ossatura stessa dell’Italia», ha aggiunto, chiedendo al Governo di fermarsi e di aprire «un confronto vero con le rappresentanze istituzionali».

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