di Giorgia Olivieri

Dal primo pub vegetariano dell’Umbria alla produzione del «cibo di domani, oggi» l’umbra Food evolution è leader di mercato nella produzione di sostituti vegetali alla carne grazie a un approccio all’avanguardia. La sua storia è strettamente legata a quella di Alberto Musacchio, amministratore delegato, che smise di mangiare carne e all’età di 19 anni e creò nel 1979 a Perugia un luogo d’incontro per studenti fondato sulla cucina vegetale. Dal 2014 con la nascita di Joy srl la famiglia Musacchio si dedica alla produzione di alimenti principalmente a base di soia e proteine dei piselli.

Creare novità Nello stabilimento di Tavernelle, quindi, vengono sviluppati prodotti che offrono un’alternativa vegetale al consumo di carne animale, come Parepollo, Paremanzo, Parepancetta e altri. «Noi vediamo il mattone la base dell’edilizia, per l’uomo il mattone è la proteina – spiega Musacchio a Umbria24 – Se io do da mangiare cento grammi di proteina di soia a una mucca e io mangio la mucca, perdo circa l’80 per cento di quel valore nutrizionale, il 50 con il pollo. Se invece mangio direttamente la soia assumo interamente quel valore e ottengo un prodotto che costa fino a 9 volte di meno». «Ora abbiamo un salame in corso di lavorazione, con una tecnologia unica al mondo: usando la nostra carne gli conferiamo consistenza e umidità, dopodiché la insacchiamo e ci affidiamo a un aromatiere per il gusto, esattamente come un salame di carne animale».

Difficoltà in Italia Musacchio si definisce un po’ il «vecchio del settore nel mondo plant based», rappresentando un esempio di imprenditore che ha sempre cercato «di fare qualcosa che porti un cambiamento». In Italia, però, la nona commissione del Senato ha approvato un emendamento della Lega che vieta l’utilizzo di nomi che fanno riferimento alla carne e ai suoi derivati per prodotti trasformati che invece contengono esclusivamente proteine vegetali. «Questo decreto causerà per noi delle difficoltà a riadattarci – continua Musacchio – l’industria ha dei tempi molto lunghi e l’Italia rischia una sanzione europea per questo divieto del meat sounding».

Crisi climatica Molte le motivazioni ambientali a guidare l’azienda: «Quarant’anni fa il mondo consumava 40 milioni di tonnellate di carne all’anno, ora abbiamo toccato i 400 e secondo l’Onu entro il 2050 diventeranno 600 milioni. Fino ad adesso il tampone etnico erano Cina e India dove il consumo di carne era molto basso, 30 chili a testa annui contro i 150 di un americano, ma questi Paesi crescono economicamente e il loro consumo raddoppierà». Al momento sfruttiamo un «territorio grande come l’Africa per soddisfare l’alimentazione di animali da macello, ma noi dobbiamo pensare al domani e ricordarci che non ereditiamo la terra dai nostri avi ma la prendiamo in prestito dai nostri figli», continua l’amministratore. Inoltre, sappiamo che «dopo i combustili fossili, c’è la produzione di carne per emissione di CO2 e metano, oltre che per consumo d’acqua. L’allevamento intensivo causa dispersione di fosfati e aumento della popolazione batterica nelle acque: tutto ciò determina la crisi climatica».

Tradizione e ricerca Per abbattere i tabù legati ai prodotti plant based secondo Musacchio è necessario innanzitutto capire che «quando si parla di tradizione come qualcosa di intoccabile, bisogna ricordarci che quello che ora è tradizione cento anni fa è stato innovazione. Il primo che ha creato un salame sarà stato visto come un pazzo, perché il salame non cresce sugli alberi, è quindi un’invenzione». Inoltre, per vent’anni i prodotti vegani erano «immangiabili, poi è nata Beyond meat, azienda americana operante nel settore, e tutto è cambiato. In Italia se ci fossero centinaia di aziende come la mia avremmo più possibilità di sviluppo per migliorare i prodotti». Centrale quindi «uscire dall’aspetto esclusivamente epicureo del cibo, che può essere sia sostenibilità che etica, e farlo diventare veramente cultura». La soluzione per Musacchio è semplice: «Se convinciamo il popolo a mangiare più proteina vegetale e i produttori si adegueranno, se la proteina vegetale non piace investiamoci per migliorarla».

I costi A essere spesso criticato è anche il costo dei prodotti a base vegetale, è vero sì che la proteina vegetale costa in media quattro volte più di quella animale per il produttore. «Il motivo è però legato ai finanziamenti ricevuti dagli allevamenti intensivi, sono moltissimi infatti i costi nascosti della carne». A tal proposito la catena tedesca di supermercati discount Penny Market ha avviato una sperimentazione con l’Università di Norimberga: i prodotti a base di carne rossa o latticini verranno venduti al loro «costo climatico», cioè il costo totale calcolato tenendo conto dell’impatto ambientale della sua produzione, distribuzione e consumo, con un aumento medio stimato del 94 per cento. «Dobbiamo sperare che la gente consumi sempre di più prodotti vegetali per permetterci linee produttive che siano da 2/3 tonnellate all’ora così da abbattere i costi di produzione e permettere la vendita alla metà del prezzo. Se vuoi che si consumi meno soia, devi mangiare più soia».

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