Linzi e Pagnotta

di Daniele Bovi

Non più direttore amministrativo, benché con un occhio attento e competente sul cartellone visto il curriculum, bensì consulente a tempo. Luciano Linzi, fresco dimissionario da direttore amministrativo della Fondazione Umbria Jazz esattamente come chi l’ha preceduto (Aldo Bruni), lunedì mattina ha firmato il contratto di consulenza che, a partire dal primo aprile, lo legherà alla Fondazione; contratto, rinnovabile, dal quale è «escluso – racconta Linzi a Umbria24 – ogni tipo di coinvolgimento sul fronte artistico o amministrativo». Il primo, quello artistico, è il campo di Carlo Pagnotta, padre-patron della manifestazione, ed è proprio su quel fronte, oltre che su quello di alcune scelte riguardanti la macchina del festival, che si sarebbe consumata la rottura con conseguenti dimissioni di un Linzi sereno, che non abbandona il suo tratto pacato.

È stata, come molti hanno detto con una battuta, una «pagnottata»?

«Ma no. Io sono arrivato quasi due anni fa. Alcune condizioni sono cambiate, altre non si sono realizzate e ho ricevuto anche altre proposte. Tra l’altro sono reduce dall’incontro con il vicepresidente della Fondazione Stefano Mazzoni: ho accettato una consulenza che mi hanno proposto».

Quali compiti le vengono affidati d’ora in avanti?

«Il contratto mi lega direttamente alla Fondazione e dovrò occuparmi di cose come i rapporti con la Regione e le altre istituzioni, oltre al lavoro su alcuni progetti che verranno definiti nel dettaglio nei prossimi mesi e altri per dare più visibilità alla manifestazione. Resto a disposizione per il bene del Festival, anche se è escluso ogni tipo di coinvolgimento sul fronte artistico o amministrativo. Credo sia un gesto molto importante: le istituzioni hanno mostrato di stimare il mio operato».

Quanto durerà il contratto?

«Un anno, con partenza dal primo aprile. È rinnovabile e vedremo quali saranno gli sviluppi. In questi due anni o quasi ho cercato di dare una serie di indicazioni che mi auguro siano raccolte e sviluppate. Ad esempio: il festival deve vivere non solo nei dieci giorni di luglio ma offrire la sua presenza nel resto dell’anno. Bisogna intrecciare rapporti con le altre eccellenze culturali, sviluppare attività comuni, dare valore al marchio e alla manifestazione».

Lei è stato un direttore amministrativo con grandi competenze musicali. Quanto le sue dimissioni sono state condizionate da una certa sovrapposizione con il ruolo di Pagnotta? C’è stata incompatibilità tra di voi?

«È chiaro che Carlo ha il suo carattere, ma anche una visione e idee che hanno favorito la nascita della manifestazione e il suo sviluppo nell’Italia e nel mondo. Come ogni carattere forte ha idee radicate su come fare le cose, e nel passato ci sono state persone che si sono confrontate con lui su molti temi. Il confronto è sempre importante e può arrivare ad essere molto duro. Carlo tocca tutti i lati che riguardano il festival, anche quello dell’amministrazione e ciò è un fatto consolidato».

Le divergenze hanno riguardato il lato artistico?

«Io ho cercato di proporre delle cose, anche perché all’inizio è stato lui a volermi e a salutare con piacere il mio arrivo. Ha un grande bagaglio di esperienza e il confronto c’è stato non solo con lui ma anche con il resto della Fondazione».

C’è stato un punto di rottura?

«Se vuole è un fatto di mentalità, di pensare che il Festival per come è arrivato fino a qui non abbia bisogno di modifiche. Io credo che lo sforzo sia quello di adeguarlo al cambiamento riguardo a strategie, comunicazione e altri ambiti importanti. Alcune cose le abbiamo iniziate a fare, ci sono opinioni che possono non essere condivise ma l’importante è il risultato finale: un festival che ha un respiro mondiale e che deve continuare a irrobustirsi. Se tu giochi la Champions League devi cercare di avere un’organizzazione della squadra all’altezza del traguardo che cerchi di raggiungere. Dal punto di vista della comunicazione su alcune cose lui non era d’accordo».

Su quali altri punti ci sono state divergenze?

«Per esempio sul fatto che il festival deve vivere tutto l’anno: lui pensava che ci sarebbe potuto essere un possibile aggravio di risorse. Io dicevo che per quanto il festival sia forte deve avere una proiezione anche nel resto dei mesi e una presenza più marcata in città. Comunque niente di più di questo. Il Festival ha diverse anime al suo interno».

Quali sono ora i suoi obbiettivi per Umbria Jazz?

«La definizione dei dettagli dei programmi sarà oggetto dei prossimi incontri. In generale credo che sia importante costruire quante più relazioni possibili anche lì dove il jazz non è tradizionalmente presente. Ci sarà nei prossimi mesi un evento a Shanghai, che è un fatto importante, e penso poi che questo dovrebbe essere anche il festival della regione, facendolo tornare più sul territorio con eventi mirati a seconda delle disponibilità».

Dopo un’edizione 2015 da record è amareggiato per quanto successo?

«No. Sono molto contento e soddisfatto per i risultati ottenuti. La scorsa edizione è stata un successo di cui essere tutti fieri, anche se durante la conferenza stampa finale, a causa di tensioni e stanchezza, non si è respirato il clima di un buon risultato. Un po’ mi dispiace, dovevamo brindare tutti insieme. La cosa più importante però è che il Festival continui a essere un punto di riferimento nel mondo e un’eccellenza culturale».

Twitter @DanieleBovi