di Danilo Nardoni

Un musicista che meglio di altri rappresenta la storia della musica popolare degli ultimi sessanta anni. Il pioniere del folk-rock. Uno dei primi veri cantautori contemporanei. E se non bastasse, un Premio Nobel per la letteratura, al momento il primo e unico musicista ad ottenerlo. Mr. Bob Dylan, con un curriculum che parla da solo e all’età di 82 anni, ha aperto venerdì sera a Perugia l’edizione 2023 di Umbria Jazz. Un gran colpo iniziale per il festival che ancora fino al 16 luglio continuerà a festeggiare il suo 50/o anniversario.
Nessun cellulare, nessuna macchina fotografica e telecamera. Smartphone inseriti prima del concerto in una apposita custodia. Niente maxischermi, insomma nessuna tecnologia, proprio come un concerto del lontano 1973, anno in cui il festival prese il via.

Una imposizione che, come moneta di scambio per un concerto di Dylan, si trasforma in una buona rinuncia. Su richiesta dell’artista, infatti, come gli altri del tour anche quello di Perugia è stato un “phone free show”. Si può lasciare al giorno d’oggi mentre si assiste ad un concerto tutto il mondo fuori da un’arena? Dylan può permettersi di farlo per costringerti ad ascoltare solo le sue canzoni. I sensi così ritrovano nuovo slancio senza la stampella della tecnologia e il pubblico rimane incantato davanti alle pennellate dell’artista fatte come sempre di musica e poesia.

L’attenzione è quinti tutta per lui e il suo pianoforte, al centro della scena. Poche luci fisse, bianche e soffuse. Nessuna scenografia, solo un grande tendaggio di velluto rosso alle spalle di Dylan e della band granitica di 5 elementi. Della loro bravura è lo stesso Dylan a sottolinearlo con la sola interazione che ha con il pubblico, ad un’ora e un quarto di concerto, e dopo un “grazie, grazie mille” in italiano rivolto ai 5mila presenti all’Arena Santa Giuliana, sold out da alcuni mesi.

Sembra di stare in un teatro, invece siamo in un grande spazio all’aperto. E nell’Arena Santa Giuliana che si chiama così proprio dal concerto che lo stesso Dylan tenne a Perugia nell’ormai lontano 25 luglio 2001. Perugia quindi che in qualche maniera si lega al cantautore. Anche per altro. In città, all’Università per Stranieri, studiò infatti Susan Elisabeth Rotolo, la “Suze” che è stretta a lui nella storica copertina di ‘The Freewheelin’ Bob Dylan’ e che fu la musa ispiratrice dei testi più famosi del folksinger americano. Con racconti e testimonianze che parlano anche di quando lui la venne a cercare a Perugia.
Ma questa è forse un’altra storia. Quella che è invece andata in scena di sicuro sul palco di Umbria Jazz è fatta di brani in cui vita e morte sono raccontanti in maniera unica, tra un inizio folk per arrivare ad un finale più blues, con una voce che non ha perso il suo graffio unico.

Più di metà scaletta è dedicata all’ultimo album “Rough and Rowdy ways” uscito nel 2020 in piena pandemia. Anche dal vivo i brani si confermano come i migliori scritti negli ultimi anni dal cantautore Premio Nobel. Picchi di intensità arrivano con “Black rider” e “My own version of you”.

All’inizio Dylan si mette subito dietro a quel pianoforte che non lascerà più per circa un’ora e quaranta minuti di concerto. Volto in penombra che si illumina un po’ solo quando si alza in piedi per più volte durante la serata senza però staccarsi mai dallo strumento.
Nessuna concessione al glorioso passato. Passato che però torna in episodi come “Most likely you go your way” dall’album “Blonde on blonde”, oppure con “I’ll be your baby tonight”, “To be alone with you” e “When I paint my masterpiece”. Quando arrivano le note della conclusiva “Every grain of sand” il pubblico sa bene che è l’ultima perla della serata. Le persone si alzano per gettarsi sotto il palco, giusto il tempo per ascoltare le ultime note e soprattutto l’assolo di armonica finale concesso dall’artista. Nessun bis, come da programma, ma neanche nessun segno di nostalgia. Alla fine ad emergere è magicamente l’attualità di un artista che sa parlare al pubblico ancora oggi, esplorando i meandri profondi dell’anima dell’uomo contemporaneo e lanciando denunce sociali. Il giovane menestrello di Duluth è ormai un ottantenne che può celebrare, sempre nel suo modo unico, ballate e versi condivise con più generazioni di fan. Finalmente in piedi quasi al centro del palco, Dylan lascia il pianoforte per salutare il pubblico. Finisce tra gli applausi e lui, allargando un po’ le braccia, a suo modo ringrazia. Il tour italiano, che lo ha riportato quindi anche nel nostro paese dopo cinque anni di assenza, si chiuderà domani a Roma dopo le precedenti tappe anche a Milano e Lucca.

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