Daniela Crispolti

di Francesca Marruco

«Ha attestato falsamente nel certificato anamnesico specificamente volto al rilascio del porto d’armi l’assenza di disturbi mentali, di personalità o comportamentali a carico di Andrea Zampi, pur nella consapevolezza che quest’ultimo fosse seguito da strutture specialistiche per i disturbi mentali».  Gli eventi che hanno armato la mano dell’omicida suicida della strage del Broletto, in cui due dipendenti della Regione vennero uccise a colpi di pistola,è iniziato in uno studio medico di Perugia.

Indagini chiuse Lo studio del dottor Patrizio Sabatini che adesso, insieme alla dirigente della polizia di Stato Maria Letizia Tomaselli e al funzionario della questura di Perugia Corrado Carlo Eugenio, è stato raggiunto dall’avviso di conclusione delle indagini. Il sostituto procuratore Massimo Casucci, nel 415 bis recapitato venerdì ai difensori dei tre indagati, ricostruisce il prologo di una tragedia che ha scosso l’Umbria e l’Italia intera, fatto di sviste maledette e leggerezze che hanno prodotto un disastro.

FOTOGALLERY: LE IMMAGINI DELLA TRAGEDIA

Il fatto Andrea Zampi, che dopo aver ucciso Margherita Peccati e Daniela Crispolti si è sparato un colpo in testa, era malato di mente. Ciò nonostante è venuto in possesso di un regolare porto d’armi per uso sportivo che gli ha permesso di acquistare l’arma con cui ha messo in atto la strage. Come questo sia avvenuto è stato ricostruito nell’indagine portata avanti dalla stessa polizia, che fin dal primo momento ha messo tutto a disposizione della magistratura. Patrizio Sabatini, Maria Letizia Tomaselli e Corrado Carlo Eugenio, «con condotte colpose – recita il capo d’imputazione -, concorrevano, con apporto causale indipendente, all’omicidio doloso» delle impiegate della Regione e dello stesso Zampi.

IDENTIKIT: L’ASSASSINOLE DUE VITTIME

Il medico In particolare, Sabatini – difeso dall’avvocato Franco Libori -«per colpa generica consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, non valutava le conseguenze che la sua falsa attestazione avrebbe avuto ai fini del rilascio del rinnovo del porto d’armi, in quanto propedeutica e determinante rispetto all’operato dell’Ufficiale medico».  Nello specifico, il medico di base di Zampi, «attestava falsamente l’assenza di disturbi mentali, pur nella consapevolezza che fosse seguito per i disturbi mentali, nonché il mancato uso di sostanze psicotrope pur avendo egli in più occasioni prescritto la somministrazione del Depakin, farmaco rientrante nel piano terapeutico predisposto dal C.S.M. di Perugia per il trattamento della mania correlata ai disturbi bipolari». Al medico vengono anche contestate le accuse di falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o in autorizzazioni amministrative.

VIDEO: I PRIMI MINUTI DOPO LA SPARATORIA 

Il funzionario Il funzionario amministrativo dei ruoli civili della Questura Corrado Carlo Eugenio – difeso dall’avvocato Rita Urbani -, quale istruttore della pratica volta al rinnovo del porto d’armi, «per colpa consistita in imprudenza e negligenza, non si avvedeva – all’esito del controllo alla Banca dati SDI eseguito da un altro impiegato – della segnalazione di un decreto emesso dalla Prefettura di Perugia di divieto per Zampi di detenere armi e munizioni e predisponeva il rinnovo della licenza».

Il dirigente Il dirigente della polizia di Stato Maria Letizia Tomaselli – difesa dall’avvocato Francesco Falcinelli -, «per colpa consistita in imprudenza e negligenza, non si avvedeva dell’esistenza del tabulato della banca dati da cui risultava l’esistenza del decreto emesso dalla Prefettura di Perugia, e sottoscriveva il 29.09.2012 il rinnovo della licenza di porto d’armi per uso di tiro a volo, così abilitandolo all’acquisto di armi per uso sportivo».

VIDEO. INTERVISTA A UNA TESTIMONE

Processo? Il prologo è condensato in due pagine di accuse, recapitate agli indagati per dar loro modo di produrre memorie difensive o chiedere di essere interrogati. La tragedia di quel sei marzo 2013 è ancora negli occhi di mezza Umbria, e nel cuore dei familiari e degli amici delle due donne uccise. L’epilogo è ancora una pagina bianca da scrivere, in cui il legittimo bisogno di giustizia non ridarà comunque indietro i morti innocenti.