di Francesca Marruco
Erano terrorizzate dall’idea di poter incontrare quelli che fino a quasi tre mesi fa erano loro uomini, loro amici, loro conoscenti. Quelli che da un momento all’altro, ai loro occhi si sono trasformati da uomini a volte violenti ad assassini stupratori. Alina Agache è arrivata accompagnata dal suo avvocato Luca Pietrocola, tramite cui ha presentato istanza per il dissequestro degli oggetti che le vennero sequestrati durante un sopralluogo. Bianca Bengescu invece è stata accompagnata in aula dal capitano Giovanni Rizzo, comandante del reparto operativo – nucleo investigativo, e dal suo vice, il luogotenente Angelo De Pascalis. Era stato proprio con loro che Bianca, l’ex donna di Iulian Ghiorghita, bloccata mentre cercava di lasciare il paese, aveva deciso di parlare. E di accusare l’uomo che fino a poche notti prima dormiva nel suo letto e comprava regali a sua figlia.
Le conseguenze Sono arrivate in tribunale prima che iniziasse l’udienza lunedì mattina. La loro agitazione era stampata sui loro volti. Una decisione coraggiosa e non priva di conseguenze quella di testimoniare contro degli assassini che non si sono fatti scrupoli a stuprare e uccidere per un po’ di soldi. Ancor più difficile se si è in condizioni precarie, in un paese straniero e con pochi appoggi. Da quando casa di Bianca è stata sequestrata, lei si trova in una struttura della Caritas, e molto probabilmente lascerà il paese per tornare in Romania dalla sua famiglia e dalla sua bambina di sei anni. Per entrambe le donne invece non è stato attivato alcun programma di protezione testimoni per carenza di requisiti.
In aula In udienza invece, celebrata nell’aula degli affreschi, le famiglie Rosi e Papa si sono costituite parte civile contro i quattro rumeni accusati. Dei quattro uomini, era presente solo Catalin Simionescu, il basista. Quello che avrebbe indicato gli obiettivi. non molto altro e ricurvo sulle spalle, ha tenuto lo sguardo basso prima di entrare in aula. Dentro, dietro le sbarre della cella dell’aula, ha osservato tutta l’udienza. I pubblici ministeri Antonella Duchini, Mario Formisano e Giuseppe Petrazzini hanno proposto di acquisire i verbali delle due ragazze e così è stato, con il consenso di tutte le parti, tranne dell’avvocato Michele Maria Amici, che difende Dorel Gheorghita e che ha voluto comunque fare qualche domanda a Bianca. Nessun intoppo invece per quello di Alina Agache, per cui hanno dato tutti parere favorevole.
Il racconto di Bianca «Conosco Ghiorghita da circa tre anni – aveva raccontato Bianca ai carabinieri -, avevamo avuto una storia da niente appunto circa tre anni fa e da circa sei mesi abbiamo iniziato una storia più stabile anche se molto burrascosa. Dico burrascosa perché lui veniva ogni tanto a casa mia, si fermava qualche giorno, poi spariva, poi tornava, alle volte mi picchiava, spesse volte litigavamo e qualche volta in preda alla rabbia ha anche buttato il suo telefono e poi si faceva chiamare dai suoi amici sul mio telefono. Posso riferire che la sera dopo la rapina in danno di Papa Sergio, circostanza che ho appreso da una mia amica che lavorava nel ristorante di Sergio, il Ghiorghita è venuto a casa mia e poi dopo qualche giorno, non ricordo però con precisione, se ne è andato come solitamente faceva».
La notte dell’omicidio Rosi «Poi ho rivisto Ghiorghita la mattina dopo l’omicidio di Rosi- continua il verbale di Bianca – . Ricordo bene la circostanza perché quella mattina mi sono alzata alle sei e mezza poiché dovevo portare mia figlia di anni 6 a fare una ortopanoramica ai denti in Perugia, piazzale Europa. lo dormivo in camera con la bambina e, alzandomi, ho visto Ghiorghita con altri due uomini che dormivano buttati sul divano letto del soggiorno. Oltre a Ghiorghita c’erano Aurel e Dorel, due suoi amici dei quali però non so il cognome che però saprei riconoscere perché li ho visti bene ed erano a casa mia. Erano tutti e tre vestiti e si erano solo tolti le scarpe; quando io sono uscita si sono alzati e si sono parlati (così ho appreso i loro nomi). In quella circostanza non ho chiesto niente a Ghiorghita per non metterlo in difficoltà con i suoi amici e mi ripromettevo di farlo in un momento successivo in presenza del solo Ghiorghita. I tre avevano tutti scarpe da ginnastica, mi sembra che uno avesse dei pantaloni scuri. Si erano buttati sopra il divano vestiti, sopra ad una coperta che ho ancora in casa».
Il proposito di fuga «Io poi sono uscita – aveva detto ancora Bianca – e nel corso della mattinata una mia amica mi ha mandato un messaggio dicendomi che nella notte era stato commesso un omicidio ed in particolare tre rapinatori erano entrati in villa e avevano ucciso uno degli abitanti della casa. Quando ho appreso quella notizia ho collegato tutto e ho capito che i tre che avevano commesso quel terribile fatto erano i tre uomini che avevano dormito a casa mia. In quel momento non ho collegato al Ghiorghita la precedente rapina a Papa Sergio. Ho deciso di fuggire dall’ Italia per sottrarmi al Ghiorghita. Io non avevo idea che Ghiorghita facesse rapine ma so che era stato in carcere in Romania, lui sosteneva che aveva smesso “di fare stronzate”, come diceva lui ma io avevo capito che faceva qualcosa che non andava». E adesso che anche le parole delle ragazze, che per prime hanno accusato le belve, sono state congelate come prove per il dibattimento, l’indagine galoppa verso la chiusura e un processo veloce ed equo che restituisca alle vittime un po’ di giustizia.