La procura della repubblica di Perugia ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio per 19 indagati e 11 società, nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti dei grandi eventi.
Corruzione Ai 19 indagati tra cui Guido Bertolaso, Angelo Balducci, Diego Anemone e Fabio De Santis i pubblici ministeri di Perugia Sergio Sottani, Alessia Tavarnesi e il procuratore Giacomo Fumu contestano a vario titolo i reati di associazione a delinquere e corruzione. Hanno chiesto invece di patteggiare la pena il magistrato romano Achille Toro, il figlio Camillo Toro, e l’architetto Angelo Zampolini.
I Toro patteggiano Il magistrato romano Achille Toro e il figlio Camillo Toro hanno chiesto di patteggiare per il reato di rivelazione di segreto d’ufficio una pena di, rispettivamente, 8 e 6 mesi. La procura della Repubblica di Perugia ha accolto la richiesta, e ha chiesto l’archiviazione per gli altri reati che gli venivano contestati: corruzione e favoreggiamento. Del primo erano stati accusati padre e figlio, mentre il secondo veniva contestato solo al magistrato romano, la cui implicazione nell’indagine aveva determinato la competenza della procura perugina. In base all’iniziale ricostruzione accusatoria, Achille Toro aveva ricevuto presunte utilità destinate ai figli per compiere atti contrari ai suoi doveri d’ufficio. In particolare per favorire Diego Anemone e Angelo Balducci. Dall’indagine però – stando alla richiesta di archiviazione – non sarebbe emerso cosa l’ex magistrato abbia ricevuto.Come procuratore aggiunto di Roma è infatti accusato di avere rilevato, anche tramite il figlio Camillo, notizie su un procedimento trattato presso il suo Ufficio nonchè su quello della procura di Firenze.
Anche Zampolini fuori Stessa sorte per l’architetto Angelo Zampolini, che ha chiesto di patteggiare un anno di pena per l’accusa di riciclaggio e nei cui confronti cade l’accusa di associazione a delinquere, per cui la procura di Perugia ha chiesto l’archiviazione
Bertolaso e la « protezione globale» Guido Bertolaso, per cui la procura della repubblica di Perugia chiede il rinvio a giudizio per corruzione nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti dei Grandi Eventi, ha « accettato promesse e ricevuto utilità in modo unitario» scrivono i pubblici ministeri nella richiesta di rinvio a giudizio. «Le utilità poste in rilievo e gli atti individuati e descritti danno dunque la prova incontrovertibile dell’asservimento della pubblica funzione e appaiono inquadrabili oltre che con specifico riferimento a singoli atti e specifiche utilità, anche in un’ottica di ‘protezione globale’».
La condotta corruttiva di Bertolaso Guido Bertolaso aveva chiesto di essere interrogato dai pubblici ministeri perugini dopo l’avviso di conclusione delle indagini, e proprio a quell’interrogatorio, avvenuto l’8 marzo 2011, fanno riferimento i magistrati nella richiesta di rinvio a giudizio quando scrivono che «se si può convenire sulla circostanza che questi non abbia approvato, almeno formalmente e direttamente atti aggiuntivi, pur tuttavia – spiegano – la condotta corruttiva emersa in fase delle indagini si colloca nell’alveo giurisprudenziale che riconosce l’addebito nell’aver accettato promesse e ricevuto utilità in modo unitario, nel senso della riconducibilità delle stesse alla medesima fonte, anche se in funzione di una pluralità di atti da compiere, per cui il reato si configura come una condotta pressoché unitaria pur in presenza di una pluralità di utilità che realizzano solo elargizioni già tacitamente convenute».
Violazione sistematica delle regole Secondo i pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi, i Grandi Eventi venivano gestiti in una «situazione di sistematica violazione delle regole» per «mantenere le assegnazioni di lavori ad un ristretto numero di imprese ed impedire che potesse effettivamente funzionare la concorrenza di altre». Questo veniva garantito dalla «scelta della procedura d’urgenza» con cui i lavori venivano assegnati ad una « determinata impresa per effetto della ricezione o della promessa di denaro o di altre utilità». Questo, per i pm rappresenta «la violazione dei doveri d’ufficio che impongono la disinteressata valutazione della situazione concreta».