Indagini chiuse, dopo due anni e mezzo, sul crollo dei conci della Diga di Montedoglio del 30 dicembre 2010. Le conclusioni sono state illustrate nel corso di una conferenza stampa alla procura di Arezzo alla presenza del comandante provinciale dei carabinieri di Arezzo colonnello Roberto Saltalamacchia e dal comandante della Forestale di Arezzo Claudio D’Amico e di Marco Mazzi del Nos della Forestale di Arezzo, oltre al pm Roberto Rossi.
Due cause Secondo quanto riporta arezzonotizie.it i consulenti hanno accertato che le cause del crollo sono sostanzialmente due: scarsa qualità del cemento armato del concio che ha portato alle infiltrazioni e il difettoso ancoraggio al terreno, che non rispettava le specifiche progettuali. L’indagine è stata coordinata dall’ex procuratore generale di Arezzo Carlo Maria Scipio, ora in pensione, e si è conclusa sotto la supervisione del pm Roberto Rossi che ne sta facendo le veci.
Il perché della rottura «Il problema – spiega Rossi – è stato individuato dai consulenti tecnici in difetti costruttivi di realizzazione. Nella qualità del cemento armato del concio che ha ceduto e in difetti di qualità e di costruzione che riguardavano l’ancoraggio del manufatto in cemento armato. Quando si è fatto il collaudo finale con la diga riempita al massimo con l’enorme pressione, associata a questi difetti di qualità e di costruzione ha provocato il collasso del manufatto e l’inondazione successiva con la fuoriuscita di 55 milioni di metri cubi di acqua».
Morti quasi tutti «Il problema dal punto di vista giuridico – aggiunge Rossi – è che questi errori di realizzazione e di utilizzo dei materiali risalgono a più di 30 anni fa e, prima ancora della prescrizione del reato, è la non più sussistenza in vita dei responsabili. L’unico profilo di responsabilità che abbiamo ravvisato attraverso le consulenze tecniche è per il fatto che questi manufatti avevano dato alcuni segnali di ‘ammaloramento’ che avrebbero dovuto essere valutati opportunamente come segni di problemi strutturali».
Un solo indagato in vita Le responsabilità individuate dalla procura non sono a carico dei progettisti, ma di coloro che hanno realizzato l’opera, inaugurata nel 1990. Il 415 bis contiene l’ipotesi di reato di disastro colposo. L’unico indagato ancora in vita, cui è stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini, è Diego Zurli, ex direttore dell’Ente Valdichiana (che curava la manutenzione della diga di Montedoglio), divenuto poi Ente irriguo umbro-toscano, sempre guidato da Zurli. Ma i responsabili delle ditte costruttrici sono tutti deceduti. Le aziende che hanno messo mano all’opera dal 1978 fino al 1993 (dopo il taglio del nastro) e che si sono succedute nel tempo sono Cogeco, Cogefar e Impregilo, che hanno anche subappaltato i lavori di costruzione. E’ ipotizzata, inoltre, la responsabilità dell’Ente Valdichiana che è riconducibile alla mancata manutenzione. Secondo la procura nel corso del tempo ci sarebbero stati segnali del pericolo imminente che avrebbero potuto allarmare e che sarebbero stati invece ignorati.