Rigettato il ricorso della Procura di Terni contro l’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere per Roberto Lo Giudice, accusato dell’omicidio volontario della moglie Barbara Corvi, scomparsa da Amelia il 27 ottobre del 2009 e della quale non si hanno più notizie. Lo ha deciso la Prima sezione della Cassazione venerdì mattina: «Tra pochi giorni saranno 12 anni da quando non si hanno più notizie di Barbara -commentano dal coordinamento regionale di Libera Umbria -. Sarà ancora una volta l’occasione per stringerci intorno alla sua famiglia nella ricerca della verità, l’inchiesta prosegue e noi ci saremo, come sempre».

Caso Barbara Corvi Lo Giudice era stato arrestato il 30 marzo scorso quando il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Terni, Simona Tordelli aveva firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, contenente la ricostruzione che la procura aveva elaborato di quel 27 ottobre 2009, quando la donna scomparve. Di lei, da allora, non si ha più alcuna notizia. Con l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere, senza che il corpo sia mai stato trovato, il marito era tornato libero il 22 aprile in seguito alla decisione dei giudici del Riesame di Perugia. La loro pronuncia era stata quindi impugnata dalla Procura di Terni. I legali dell’uomo avevano invece chiesto alla Corte di rigettare l’impugnazione con una tesi che la Cassazione ha evidentemente condiviso, visto che l’impugnazione del procuratore capo Alberto Liguori è stata oggi respinta. Lo Giudice si è sempre proclamato innocente ed estraneo alla scomparsa della moglie. Le indagini sono ancora aperte.

Liguori «Rispetto le decisioni dei giudici e ne prendo atto. Una volta lette le motivazioni determinerò il da farsi». Così il procuratore di Terni, Alberto Liguori, ha commentato – rilasciando dichiarazione all’Ansa – il rigetto da parte della Cassazione del ricorso contro l’annullamento, deciso dal tribunale del riesame di Perugia, dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere per Roberto Lo Giudice.

Cassazione respinge ricorso Procura Terni Secondo la procura che ha coordinato le indagini condotte dai carabinieri, Lo Giudice avrebbe ucciso la moglie per motivi anche economici con la complicità del fratello e poi ne avrebbe occultato il cadavere. A detta dei giudici del Riesame che lo avevano scarcerato non è possibile «affermare in termini di certezza che sia avvenuto un delitto e che Barbara Corvi sia effettivamente deceduta, in quanto nel corso delle indagini sono emersi elementi che consentono di ritenere ancora aperta la possibilità che si sia allontanata volontariamente». Qui si inserisce l’episodio della cartolina. La ricostruzione della procura sul pomeriggio della scomparsa della donna ha un’ora di buco. «Dalle ore 16.00 – era scritto nell’ordinanza – i coniugi rimanevano soli in casa e da quel momento di essi si sono perse le tracce: si sa però che tra le 14.01 e le 17.01 il telefono cellulare di Lo Giudice ha fatto registrare sette telefonate ed un Sms impegnando la cella in località Montecampano». La procura ha ipotizzato che dunque in quel momento Roberto Lo Giudice si trovasse in casa. Poco più tardi poi, alle 16.54, da quel telefono è partita una chiamata. «Dalle 17.01 alle 17,38 poi il telefono non ha fatto registrare alcun impulso e quindi non ha consentito la sua localizzazione».

«Mentalità ‘ndranghetista» Secondo la procura ternana Lo Giudice avrebbe ammazzato la moglie per soldi e per gelosia «nel rispetto della mentalità ‘Ndanghedista». Nelle testimonianze rese agli inquirenti, Lo Giudice ha riferito di un rapporto coniugale logoro e di discussioni animate fino al giorno della scomparsa della donna per via della relazione che la donna aveva ammesso di intrattenere con un amerino. L’uomo in questione, sentito dagli investigatori, oltre a confermare il rapporto con Barbara dal giugno del 2009, ha riferito che la donna gli aveva confidato che il marito era un violento tanto da averla picchiata in più di una occasione e da averle procurato, in una circostanza, un gonfiore a un ginocchio e lividi sul collo e da averle lui consigliato di recarsi al Pronto soccorso, ma la donna aveva rifiutato confidandogli che, avvisato il marito dell’intenzione di farsi refertare le lesioni, lui l’aveva minacciata dicendole che le avrebbe restituito il figlio Salvatore a pezzi. L’amante di Barbara, tra le altre cose, ha raccontato – come era scritto nell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Lo Giudice (accusato, tra gli altri collaboratori di giustizia, anche dal fratello Nino Ndr) – che la donna era molto legata ai figli e palesato i propri dubbi sul fatto che potesse essersi allontanata di spontanea volontà, «sopportava la convivenza con il marito solo per amore dei suoi ragazzi». La decisione della Cassazione rappresenta probabilmente un nuovo colpo al cuore per l’osservatorio antimafia e i vari comitati sorti per chiedere verità sul caso Corvi; una campagna in tal senso, promossa di recente, ha visto l’adesione di numerosi comuni umbri.

 

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