La sede dell'Istat

di Daniele Bovi

Com’è cambiata l’Umbria nel decennio che va dal 2001 al 2011? La risposta sta nelle 72 pagine in cui l’Istat sintetizza i risultati del censimento che riguarda l’industria, i servizi, il mondo del no profit e quello della pubblica amministrazione. Dati presentati mercoledì a Perugia alla Camera di commercio di Perugia in collaborazione con Unioncamere. Il boom del numero di istituzioni no profit (+32%) è uno dei numeri che saltano all’occhio, insieme alla crescita dell’occupazione, all’espansione del terziario e all’arretramento del settore pubblico, non tanto in termini di incidenza sul Pil regionale quanto per il calo del numero di istituzioni pubbliche (-26%), ben più ristretto se però si esamina la flessione (-3,9%) dei dipendenti. In sintesi, l’Istat vede un’Umbria «in profonda trasformazione» e partendo dal mondo dell’economia, il censimento parla di uno stock di imprese in crescita (69 mila, +7,7%), che occupano 154 mila dipendenti e 86 lavoratori indipendenti, 6 mila esterni e mille temporanei. Il livello di specializzazione è basso (il 60% di tutti i lavoratori sono operai contro il 53% nazionale, il 29% impiegati e il 2,6% quadri e dirigenti, numeri inevitabilmente più bassi rispetto al resto del Paese), mentre due su dieci hanno meno di 30 anni.

TUTTI I RISULTATI DEL CENSIMENTO

Le imprese Un’Umbria dove l’occupazione cresce del 3,1% grazie alle piccole e piccolissime imprese, che compensano la flessione registrata nelle poche grandi. Da registrare poi la forte crescita delle srl (+63%). Confermata la natura micro delle imprese, che nel 95% dei casi occupano fino a 9 dipendenti, e la loro scarsa propensione alla competizione internazionale (solo il 17,5% esporta), perlopiù limitata all’abbigliamento, al tessile e alla ceramica. Al di là dei numeri la dinamica è quella di una regione dove c’è stata, nel decennio, una «contrazione significativa» dell’industria e delle costruzioni, e una parallela espansione del terziario. Tra il 2001 e il 2011 industria e costruzioni hanno perso il 10% degli addetti, l’agricoltura il 9%; segno più invece per commercio, alberghi e ristoranti (+19%), per i servizi alle imprese (+22%) e, in una regione tra le più anziane d’Italia, per la sanità e l’assistenza sociale (+43%). Accanto a ciò, rimane la forte specializzazione del tessuto manifatturiero per quanto riguarda abbigliamento, ceramica, alimentari e tessili, così come i servizi tecnici di architettura e ingegneria.

Boom no profit Nel corso dell’ultimo decennio però «il comparto più dinamico della regione» è quello del no profit: alla fine del 2011 le organizzazioni erano 6.249 (+32%, quattro punti in più rispetto al dato nazionale), con 109 mila volontari, 10 mila addetti e 4 mila lavoratori esterni: un personale dipendente cresciuto nel periodo considerato di un terzo. Per capirne la diffusione occorre citare un altro numero: ogni 10 mila abitanti in Umbria ci sono 71 no profit contro una media nazionale di 51. Numeri che valgono il quinto posto nazionale. Cultura, sport e attività ricreative i settori dove sono più attive (70% del totale che impiegano il 65% dei volontari), mentre l’80% dei dipendenti lavorano nell’assistenza sociale, nella protezione civile, sanità e sviluppo economico. Proprio sul fronte dell’occupazione le dinamiche sono diverse rispetto al resto d’Italia, vista la minor quota di lavoratori retribuiti e l’apporto maggiore del volontariato.

L’amministrazione pubblica Un settore economicamente sottodimensionato rispetto alla media nazionale: nel 2011 in totale hanno incassato 682 milioni di euro: in pratica 109 mila euro ognuna, ma a superare questa soglia è solo il 13% visto che una su tre non supera i 5 mila euro di entrate e due su dieci i trentamila. Interessante è al proposito guardare l’ultima classe di entrate presa in considerazione, ovvero quella sopra i 500 mila euro: in questa fascia ci sono in Umbria 201 realtà che incassano il 67% di tutte le risorse (459 milioni), quota che sale all’81% di media nazionale. Sanità, sviluppo economico e assistenza sociali sono tra quelle attività dove si concentra la maggior parte di quei 201 casi. Da ultimo l’Istat passa in rassegna l’amministrazione pubblica della regione con le sue 166 istituzioni (92 i comuni), il 25% in meno rispetto al 2001. Una riduzione «legata – dice l’Istituto – a una serie di interventi normativi e di processi di razionalizzazione, che hanno portato nel corso degli anni alla trasformazione di alcuni enti da soggetti di diritto pubblico a soggetti di diritto privato e all’accorpamento tra istituzioni diverse».

Gli addetti Il calo è da imputare perlopiù alla sparizione di enti pubblici non economici (ovvero Camere di commercio, enti parco, enti di ricerca, ordini e collegi professionali e così via) che passano da 112 a 59. Per il resto, tutto immutato. In termini assoluti i dipendenti pubblici calano del 3,8% (da 50.969 a 45.774), meno della media italiana (-10,6%). Regione e enti non economici sono le istituzioni dove più è stato forte il calo degli addetti (-24% e -21,6%) . Province e mondo sanitario invece hanno fatto registrare una crescita, del 20% le prime e del 7% il secondo. Ed è la sanità il settore con il maggior numero di lavoratori (oltre 11 mila, 750 in più di dieci anni fa) e che, insieme alla scuola, è quello più ‘rosa’ visto che nel primo caso 9 dipendenti su 10 sono donne e nel secondo sette su dieci.

Twitter @DanieleBovi