di Marco Torricelli
Tra poco sarà un anno. Il 26 giugno prossimo saranno trascorsi dodici mesi da quando monsignor Vincenzo Paglia ha lasciato la diocesi di Terni. E la voragine di debiti – i conti aggiornati parlano di 25 milioni, in crescita – in cui si trova e con i quali si sta confrontando monsignor Ernesto Vecchi, l’amministratore apostolico inviato il 2 febbraio scorso e dei quali aveva, brevemente, già accennato
L’esternazione E proprio Vecchi – che sta lavorando su più fronti, dalla chiusura ‘amicale’ di questioni legali, al censimento integrale delle proprietà delle quali deve rientrare in possesso per poi poter trattare con lo Ior per ricevere un robusto finanziamento – sembra sul punto di perdere la pazienza. Tanto che durante le celebrazioni del Corpus Domini, parlando ai sacerdoti ed ai fedeli, s’è lasciato scappare una frase indicativa: «Non si creda che si fa carriera andando a Roma, comparendo in televisione, sentendosi belli e potenti. Per noi sacerdoti, per noi vescovi, la carriera è qui, su questo altare». Concludendo con un richiamo alla necessità di una «ricostruzione della Chiesa di Terni».
Le trattative Sotto voce, invece, si sta sviluppando una trattativa che, però, la dice lunga: proprio nel periodo in cui monsignor Vecchi iniziava il suo lavoro a Terni, una sentenza emessa dal giudice monocratico, Maria Letizia De Luca, aveva condannato la diocesi a restituire un immobile – e un sacco di quattrini – ad una famiglia ternana. La famiglia Giordanelli-Aita, che nel 1997 quell’immobile lo aveva donato alla diocesi, a condizione è che diventasse un albergo – ‘La collina di Collevalenza’ – per pellegrini e che a gestirlo fosse un’apposita fondazione benefica.
La storia Poi, complice involontario il Giubileo e la montagna di soldi a disposizione, era stato messo in piedi un marchingegno, ha scritto il giudice nella sentenza, «per conseguire un risultato vietato dalla legge (un rilevante finanziamento pubblico) in assenza dei suoi presupposti ed in violazione della normativa al riguardo». Nella sentenza si parla di consapevolezza «del motivo illecito». L’immobile, insomma, sarebbe stato utilizzato «per ottenere finanziamenti illeciti», oltre che per «ottenere finanziamenti bancari, con iscrizione sugli stessi di una ipoteca di rilevantissimo importo».
Il ricorso Contro la sentenza, l’avvocato Giovanni Ranalli aveva immediatamente presentato il ricorso in appello: oltre a restituire l’immobile, la diocesi deve anche versare 5 mila euro al mese, dal 2004 (più di mezzo milione, più gli interessi, fino ad oggi), oltre a pagare le spese. Ma per poter restituire l’immobile, la diocesi deve anche liberarlo dall’ipoteca relativa ad un oneroso mutuo – un milione, più o meno, ancora da pagare – che su di esso ha contratto.
Proposta di pace Monsignor Vecchi, però, ha fermato tutto – o almeno ci ha provato – avanzando una ‘proposta di pace’ alla famiglia Giordanelli-Aita: «Purtroppo mamma e papà ci hanno lasciati prima che la giustizia desse loro ragione – dice Maria Pia Giordanelli – e noi, i miei fratelli ed io, siamo certamente disposti a fare quello che i nostri genitori avrebbero voluto». Che sarebbe «chiudere in pace questa dolorosa diatriba, a condizione che l’albergo resti della diocesi, che possa essere utilizzato dai pellegrini e su di esso non si facciano più speculazioni economiche o immobiliari».
Le preghiere Maria Pia Giordanelli ne parla con voce mite, nella quale non c’è segno di rancore: «Mamma e papà, tutti i giorni, pregavano per monsignor Paglia, anche quando questi, dopo che gli erano state evidenziate le azioni scorrette messe in atto, aveva iniziato a rifiutare di incontrarli». Tanto che «mio padre gli scrisse, senza esito, una lettera, nella quale gli ricordava tutto, di come fosse stata gestita l’operazione e, invece, quelle che erano le motivazioni originarie della donazione: la grande devozione a Madre Speranza ed il sogno che a Collevalenza potesse sorgere quella residenza per i pellegrini».
I debiti Per pagare il canone (al fine di evitare che fosse venduto, infatti, la famiglia prese in affitto lo stabile che aveva donato; ndr) e fare dei lavori «ci siamo fortemente indebitati», con prestiti da privati e contraendo un mutuo, con l’avallo, e questa, ovviamente, è solo l’ennesima coincidenza, di Alfredo Pallini, attuale economo della diocesi (con quotazioni in calo, pare; ndr) , ex direttore generale della Banca Popolare di Spoleto ed oggi tra gli indagati nell’inchiesta relativa all’istituto di credito. 700 mila euro, forse di più: «I miei fratelli ed io chiediamo solo di poter sanare questa nostra situazione debitoria – conclude Maria Pia Giordanelli – e la garanzia che ‘La collina di Collevalenza’ resti quella che i nostri genitori volevano».
San Girolamo Su internet, intanto, è apparso un ‘annuncio’ interessante: un’immobiliare di Orte ha messo in vendita il castello di san Girolamo di Narni. Sì, quello degli avvisi di garanzia. Quello che il Comune di Narni ha ceduto – per un milione e 760 mila euro – alla Società Iniziative Immobiliari di Luca Galletti e Paolo Zappelli, i due ex dipendenti travolti dallo scandalo della diocesi. La trattativa, si specifica sul sito internet che presenta l’annuncio, è ‘riservata’. Non c’erano dubbi.