Ernesto Cesaretti, vicepresidente di Confindustria Umbria

di Ivano Porfiri

Un convegno per ribadire una posizione chiara da anni: ciò che resta dei rifiuti dopo aver recuperato la parte riciclabile si può bruciare nei cementifici e nelle aziende con forni adatti. Un approccio scientifico al tema, per chiarire che non si corrono rischi ambientali, ma anche un’attività di lobbying per tirare acqua al mulino delle imprese. Questo lo scopo del convegno “Rifiuti, problema o opportunità. La soluzione dei css” organizzato da Confindustria Umbria.

Tema che spacca Il tema del dibattito è molto delicato, specie dal punto di vista politico. Riguarda l’ultimo anello del ciclo dei rifiuti: la distruzione di ciò che finora è finito in discarica, a valle della raccolta differenziata. Un tema su cui da anni c’è chi spinge per la costruzione di un termovalorizzatore nel perugino, facendolo gestire ai privati, mentre l’ala sinistra della maggioranza in Regione dice no a bruciare ma puntare solo sulla strategia rifiuti zero spingendo al massimo la raccolta differenziata. In mezzo gli industriali e la tesi sui cementifici.

Ipotesi cementifici Nel corso del convegno è stato sottolineato come in molti paesi europei, in testa la Germania, i css (combustibili solidi secondari) vengono considerati come la soluzione ideale per chiudere il ciclo dei rifiuti. Ora anche l’Italia si è dotata di ulteriori strumenti normativi, come i decreti Clini, che potrebbero facilitare l’allineamento agli standard dei Paesi più avanzati e l’utilizzo del css nei cementifici. Attualmente in Italia – come spiegato da Elisabetta Perrotta, direttore Fise Assoambiente – solo l’8% dell’energia termica per la produzione del cemento deriva da css e solo una Centrale, quella di Fusina (Ve), utilizza css. Ma, se si escludono Liguria e Valle d’Aosta – come illustrato nella sua relazione da Daniele Gizzi, Responsabile Ambiente Aitec (Associazione Italiana tecnico-economica del cemento) – in ogni regione italiana c’è almeno un forno da cemento in funzione che potrebbe essere utilizzato per i css.

Pressing di Confindustria Ad esprimere la linea degli industriali ci ha pensato il vice presidente di Confindustria Umbria, Ernesto Cesaretti. «Da molti anni – ha detto – sosteniamo che sia paradossale gettare nelle discariche, addossando ai cittadini ed alle imprese i relativi costi, materiali che, per il loro contenuto energetico, possono essere valorizzati come combustibile. Abbiamo, inoltre, rappresentato la irrazionalità del progetto di costruire ex novo in Umbria un inceneritore per il trattamento dei rifiuti, quando nella regione sono attivi una centrale di produzione di energia elettrica e tre cementifici che potrebbero utilizzare combustibili solidi derivati dai rifiuti in sostituzione dei combustibili fossili oggi impiegati, evitando così di generare emissioni aggiuntive nell’atmosfera. Si tratta – ha aggiunto – di soluzioni rispondenti a criteri di razionalità, economicità ed efficienza ampiamente sperimentate e applicate non solo in tanti Paesi europei, ma anche in diverse regioni del nostro stesso Paese».

I numeri «In Umbria i rifiuti urbani prodotti ogni anno – ha sottolineato Giancarlo Marchetti, direttore tecnico Arpa Umbria – sono 504 mila tonnellate. Di questi 283 mila vanno a smaltimento e 221 a raccolta differenziata. Centomila tonnellate potrebbero invece essere riutilizzate e impiegate nel circuito css». Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, ha sostenuto che «quello che va in discarica rappresenta un enorme spreco energetico. Negli ultimi dieci anni abbiamo buttato in discarica 11 miliardi di euro».

Rometti: no termovalorizzatore Rometti non si sbilancia: «Dobbiamo cambiare prospettiva sui rifiuti: da un problema con un costo elevato, devono diventare una risorsa, vanno studiate soluzioni sostenibili economicamente e dal punto di vista ambientale, soluzioni anche flessibili, che ci consentano di spingere sempre di più sulla diminuzione della produzione e sull’aumento della differenziata. Vedremo cosa inserire nel nuovo Piano, tutto in ogni caso sarà ampiamente condiviso». L’assessore ha ricordato che «in Umbria è diminuita la produzione di rifiuti di mezzo milione di tonnellate e non siamo così lontani dal traguardo del 65% di raccolta differenziata». Ed è su questa strada che si intende proseguire e, anzi, accelerare. Ecco perché Rometti esclude la realizzazione di un termovalorizzatore in provincia di Perugia. «Resta il problema della chiusura del ciclo – ha detto davanti agli industriali – ma un impianto di quel tipo sarebbe negativo perché stabilizzerebbe il fabbisogno di rifiuti a 140 mila tonnellate l’anno, di fatto disincentivando l’aumento di raccolta differenziata o addirittura incentivando l’importazione di rifiuti». Da qui lo studio sulle varie ipotesi per smaltire il css.

Flamini (Prc): rifiuti zero Se dentro i cancelli si sosteneva l’uso dei css nei cementifici, c’era chi fuori protestava con tanto di cartelli. Tra loro il segretario provinciale del Prc di Perugia, Enrico Flamini, ma anche il Prc di Terni. «Per prima cosa – afferma Flamini – intendiamo rivendicare che se non si faranno inceneritori è anche grazie alle battaglie e alle proposte di Rifondazione comunista. Detto questo, abbiamo presentato una mozione in Provincia di Perugia a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare “Rifiuti zero”, una strategia contenuta anche nel Dap regionale di recente approvazione. Riteniamo che, in vista del nuovo piano regionale, la gestione dei rifiuti, la loro riduzione e la raccolta differenziata siano elementi prioritari da mettere al centro della discussione politica per il diritto alla salute e per un nuovo modello di sviluppo anche per l’Umbria». No secco ai cementifici. «Si getterebbero alle ortiche – per Flamini – i notevoli sforzi economici ed organizzativi di tutti quei Comuni che in questi anni hanno messo in campo interventi per una gestione virtuosa dei rifiuti e per cui i cittadini hanno contributo con importanti sacrifici. La Regione deve abbandonare l’ipotesi di produrre css perchè, insieme ai problemi legati ad ambiente e salute, si bloccherebbe anche la crescita della raccolta differenziata».

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