di Daniele Bovi
Nella migliore delle ipotesi servirebbero più di otto milioni di euro per tappare il buco che si è aperto nel corso degli anni sotto la ormai ex Comunità montana del Trasimeno e del Medio Tevere. Soldi che in qualche modo qualcuno dovrà mettere. Il punto sul dossier che riguarda la liquidazione – avviato ormai nel 2011 – è stato fatto mercoledì mattina a Perugia nel corso di una conferenza della giunta regionale e di Fabrizio Vagnetti, commissario liquidatore. Da tempo ormai è stato deciso di procedere con una liquidazione unitaria di quelle realtà che, anni fa, sono confluite nell’Agenzia forestale regionale, l’Afor.
«EX MONTANE, POSSIBILI ILLECITI E DANNI ERARIALI»
Le stime Secondo le cifre fornite mercoledì, e frutto di una revisione dei valori immobiliari che erano fermi al 2012, la situazione è questa: l’ex montana dell’Alta Umbria potrebbe chiudere con un avanzo di 3,4 milioni di euro, quella dei Monti Martani e del Subasio con un saldo positivo di 5,5 milioni, quella dell’Orvietano, Narnese, Amerino e Tuderte con un avanzo di 2 milioni, quella della Valnerina con un rosso di 200 mila euro e quella del Trasimeno e del Medio Tevere con una voragine di 19,2 milioni di euro. La legge regionale varata nel 2011, e poi integrata nel corso degli anni, prevede che dopo la liquidazione gli immobili in surplus di quelle in pareggio o in avanzo (magazzini, terreni, sedi ma non solo) finiscano in un fondo vincolato a copertura dei debiti della Montana del Trasimeno, della quale fanno parte i Comuni di Cannara, Bettona, Marsciano, Castiglione del Lago, Collazzone, Corciano, Magione, Città della Pieve, Deruta, Paciano, Piegaro, Panicale, Passignano, Torgiano e Tuoro.
Chi paga? Nella ipotesi migliore quindi, e con tutte le incognite legate alle vendite e a come risponderà il mercato, rimarrà da tappare un buco da più di 8 milioni. Chi pagherà? Stando alla legge regionale della cifra dovrebbero farsi carico i Comuni. La giunta mercoledì ha spiegato che è stata valutata la possibilità di modificare la legge regionale con l’obiettivo di mettere a disposizione del Trasimeno tutti i beni delle altre Montane, mobili e immobili, ma che ci sono chiaramente dei problemi politici: perché i sindaci di altri Comuni dovrebbero pagare per quella che Palazzo Donini ha chiamato «gestione scellerata»? «Anche dietro parere degli uffici, oltre che di riflessione giuridica, strategica, di opportunità, di correttezza verso i Comuni virtuosi e non ultima politica – ha detto Tesei sul punto – la riteniamo non percorribile perché rischia di portar pregiudizio alla liquidazione di quattro Comunità montane, rischia di compiere un atto di dubbia legittimità e procura un ingiusto nocumento a tutti i Comuni che non appartengono alla Comunità montana del Trasimeno».
Ipotesi Un tentativo è stato fatto anche con il Governo a proposito della possibilità di un fondo rotativo, ma la risposta è stata che l’opzione è valida solo per i Comuni. Insomma, va trovata una soluzione: un incontro coi sindaci del Trasimeno ci sarà l’11 aprile, poi saranno convocati tutti gli altri. L’altro dato certo è che da tempo ormai la Procura regionale della Corte dei conti ha acceso più di un faro sulla vicenda e che la gestione commissariale sta fornendo i faldoni alla magistratura contabile.
Evidenti difficoltà «Vi sono evidenti difficoltà – scriveva il commissario nella sua relazione – nel procedere alla riscossione dei crediti, alla vendita dei beni immobili e agli esiti dei contenziosi. Dal 2016, anno in cui è stata pignorata la Tesoreria, la Comunità montana non paga i fornitori, le rate dei finanziamenti, i legali per opporsi alle cause e recuperare i crediti. I beni della Comunità montana sono stati oggetto di trascrizione pregiudizievoli da parte dei creditori non soddisfatti, con procedure incardinate nei rispettivi Tribunali di competenza. La mancanza di una provvista liquidità non permette di opporsi in giudizio né di tentare accordi stragiudiziali».
I problemi Vagnetti ha spiegato che nel corso di questi anni intanto sono stati interrotti i comodati d’uso gratuito che erano stati fatti, così da incassare almeno alcuni affitti, e che Cassa depositi e prestiti ha chiesto formalmente alla Comunità di restituire un finanziamento di 13 milioni concesso tempo fa. Per il 90 per cento i debitori oltre a Cdp sono alcune banche come Mps, Bcc, Unicredit, Desio e così via, anche se una quota importante riguarda il mancato accantonamento del Tfr dei lavoratori. Ma cos’ha creato il buco? La giunta ha parlato di un «mega disavanzo» e di «operazioni di dubbia legittimità, se non peggio». Vagnetti ha messo l’accento su alcune di queste come la stipula di mutui per conto di alcuni Comuni che dovevano ad esempio rifare una strada, una piazza o riqualificare una scuola: «I Comuni – ha detto – si impegnavano a restituire la provvista finanziaria e fin quando ciò è avvenuto non ci sono stati problemi». Poi, però, è arrivato anche il pignoramento dei conti e quindi addio pagamenti.
Nel limbo «Iniziato il percorso – ha spiegato poi il commissario a proposito della liquidazione – si è rimasti però nel limbo, pur cercando in qualche modo una via di uscita per ripianare i debiti con la modifica nel 2018 alla legge regionale del 2011 con cui è stato introdotto il fondo patrimoniale vincolato nel quale confluiscono i beni residui dopo la liquidazione». «Questa situazione – ha detto il vicepresidente Roberto Morroni – non è il frutto di un castigo divino bensì di operazioni opinabilissime e censurabilissime dal punto di visto politico e non solo; sono chiare le responsabilità di questa gestione disinvolta e questo fornisce anche indicazioni sulle strade da percorrere».