«Gli strumenti rischiano di collassare perchè lavorano a lungo fuori range di temperatura. Ed è già accaduto». E’ uno dei messaggi di attenzione che arrivano dal personale, docente e non, di quello che conserva il nome di ‘centro didattico’ ma che, sostanzialmente, è diventato centro diagnostico dell’ospedale perugino Santa Maria della Misericordia.
La denuncia «Qui lavoriamo al caldo d’estate – raccontano alcuni dipendenti a Umbria24 che preferiscono non essere identificati – e, al freddo d’inverno, senza, che da tempo, si riesca a risolvere questo annoso problema del condizionamento dell’aria. Non soltanto a danno di chi lavora, ma a garanzia della qualità della attività di diagnosi, sulla quale sono chiamati a garantire figure responsabili, da tempo sollecitate a trovare soluzione al problema, senza che ciò accadesse, preferendo quindi esporre a rischio l’importante attività che viene svolta». Se la domanda è in che senso? La risposta diventa: «Tutto quello che si fa in ricerca e diagnostica è tarato su una temperatura ambientale di 20 gradi. Questa potrebbe non essere garantita momentaneamente, ma quando per lungo tempo le attrezzature sono costrette a lavorare fuori range, compiono uno sforzo in più, in maniera continuata e quindi collassano. Come è accaduto. Inoltre dal punto di vista dei test, lavorare a una temperatura non adeguata, non garantisce standard di qualità. Una reazione chimica o enzimatica che deve avvenire intorno ai 20-22 gradi, aumentando la temperatura, ad esempio non avviene con la stessa tempistica». Quindi le difficoltà operative del personale: «Un ragazzo è svenuto – spiegano ancora dal personale -, a volte viene voglia di riferire come non esistano le condizioni necessarie per venire a lavorare, poi però sai che ci sono pazienti che dipendono e possono essere salvati dall’attività che viene svolta qui. Ad esempio, di recente una paziente con una emorragia polmonare è stata salvata proprio grazie alla tempestiva attività diagnostica». Come è possibile quindi che non si trovi soluzione? «L’anno scorso hanno portato un sistema di raffreddamento dall’esterno, non osiamo immaginare quanto possa essere costato. In inverno siamo morti dal freddo: ci avevano dato la regola di non superare i 20 gradi, ma in realtà siamo rimasti a 17 gradi a lavorare. Ora lavoriamo tra i 28 e i 30 gradi non osiamo immaginare cosa ci aspetta per i mesi a venire. In inverno ci hanno riferito di un problema a una caldaia. Ora qui ci è stato detto che stavano cambiando i filtri, mentre dopo ci è stato riferito che l’impianto è rotto. Ci chiediamo come è possibile che i responsabili della qualità dei nostri servizi si siano accorti soltanto ora di queste disfunzioni agli impianti».