Fred Hersch a Umbria Jazz 2019 (foto Giugliarelli-U24)

di Daniele Bovi

Che un grande del jazz faccia il suo esordio a UJ è di per sé già una notizia; ma se l’esordio è del livello ascoltato domenica grazie a Fred Hersch la notizia è doppia. Il pianista di Cincinnati, classe 1955 con alle spalle una carriera ultratrentennale, è sbarcato per la prima volta a Perugia con un doppio set che rimarrà certamente tra i momenti da ricordare di questa edizione. Hersch insieme al suo ormai ultrarodato trio formato da John Hébert al contrabbasso ed Eric McPherson alla batteria, è salito sul palco della sala Podiani della Galleria nazionale dell’Umbria, sempre più uno dei cuori pulsanti del festival. Lo spazio, abbellito dalle opere frutto dell’ultimo live drawing ispirato alla Madonna Benois di Leonardo, è stato migliorato sul fronte dell’acustica e anche l’assetto delle sedute è stato rivisto.

FOTOGALLERY: IL CONCERTO

Chi è Hersch ha suonato a mezzogiorno e alle 15.30 e in entrambe le occasioni la sala era sold out. L’interesse intorno all’esibizione del pianista americano, che ha apprezzato l’acustica della sala, era alto anche perché le sue apparizioni in Italia (l’ultima delle quali nei giorni scorsi a Brescia) non sono certo troppo frequenti. Fare un cenno seppur brevissimo e incompleto alla biografia di Hersch è necessario: punto di riferimento per altri numero uno degli 88 tasti come Ethan Iverson, Brad Mehldau o Vijay Iyer, dalla metà degli anni Ottanta Hersch convive con l’Aids che nel 2008 l’ha ridotto in fin di vita. Uscito dal limbo del coma, ne ricaverà una pièce multimediale dal titolo «My coma dreams», mentre nel 2016 è uscito «The ballar of Fred Hersch», il documentario che ne racconta la vita e la musica.

Doppio set Con oltre 30 album e quasi 20 nomination ai Grammy, Hersch nel corso della carriera è stato protagonista di formazioni molto diverse, dai piano solo al trio al sestetto fino al suo ultimo lavoro («Begin again») che lo vede impegnato con la Wdr big band diretta da Vince Mendoza. Diverse le scalette del doppio concerto di domenica: nella prima ha dato spazio a un suo personale omaggio a Joao Gilberto e Carlos Jobim, aggiungendo altre sue composizioni e spaziando da Thelonious Monk fino al pop di Billy Joel; ed è infatti con una reinterpretazione in piano solo di «And so it goes» del cantautore americano che Hersch ha salutato il pubblico di mezzogiorno. «Serpentine» è stato invece tra i primi brani del set delle 15.30, proseguito con il flusso galleggiante di «Floating», «Black Nile» di Wayne Shorter, ancora Thelonious Monk fino a «Valentine» eseguita in piano solo. Nel complesso una qualità straordinaria: l’incisività e l’asciuttezza di Hersch, il dialogo telepatico con il resto del trio, il gusto per l’esplorazione musicale e la ricerca dell’emozione del pianista americano. Chi vuole avere un’idea di quanto ascoltato domenica può comprare «Live in Europe», uscito nel 2018 e andato a ruba dopo i due set con Hersch impegnato a firmare copie, salutare i fan e scattare foto con loro. Un esordio davvero trionfale.

Twitter @DanieleBovi

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