di Enzo Beretta

Più di cinquanta chili di droga nascosti nel garage, un tabaccaio che per errore apre un pacco con ovuli di hashish appena arrivati dalla Spagna, un canale Telegram denominato «Doctor Terpz» gestito da un bot e trasformato in un negozio virtuale dove poter ordinare ‘fumo’ nell’anonimato. C’è tutto questo nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Perugia Natalia Giubilei che ha ordinato l’arresto di otto persone – sette italiani tra i 21 e i 27 anni, quasi tutti di seconda generazione e residenti tra Perugia e Castiglione del lago – e una albanese accusati di «essersi associati al fine di acquistare, detenere e cedere ingenti quantitativi di hashish». Oltre mezzo quintale il quantitativo sequestrato dalla Narcotici della squadra mobile insieme a 41 mila euro in contanti. 

Quasi 600 mila dosi «La sostanza analizzata – si legge negli atti giudiziari – risultava essere costituita da hashish per 51,4 chili e marijuana per 2,25 chili, il tutto per un principio attivo complessivo pari a 17,8 chili idonei al confezionamento di 591.203 dosi droganti». 

Recensioni della droga Le vendite su Telegram andavano a gonfie vele, ordini che «variano da 300 a 4.900 euro» per quantità che oscillano tra i «70 grammi e il chilo e mezzo». «Si rivolgono non solo ai singoli acquirenti ma anche ai ‘grossisti’ – spiega il giudice – verso i quali si assicurano prezzi e trattamenti riservati» in una sorta di TripAdvisor della droga. «A tutti vengono richieste pubblicità e recensioni positive al fine di allargare il giro dei clienti e di farsi conoscere il più possibile». Una volta entrato l’ordine arrivava il momento della consegna: «Un’attività continua fatta di cessioni seriali e ripetute anche in più luoghi durante lo stesso giorno – si apprende -. Offrire la possibilità di acquistare chili di stupefacente dà la misura della diffusività e pericolosità della compagine criminale».  

Il sequestro in tabaccheria L’inchiesta della polizia inizia con l’arresto di un 26enne nel settembre scorso, quando munito di tracking number entra in una tabaccheria dalle parti della stazione di Fontivegge chiedendo di ritirare un pacco. Purtroppo per lui – è agli atti – il titolare dell’esercizio commerciale aveva «erroneamente aperto» quello scatolone («credendo di esserne il destinatario») contenente 4,3 chili di involucri di hashish e aveva avvisato le forze dell’ordine che sono andate ad aspettarlo. Svolgendo accertamenti sul telefono di quel giovane gli investigatori hanno messo gli occhi sul canale Telegram al quale lo stesso era registrato. 

Il bot su Telegram Il canale @Doctorterpzbot che ormai non esiste più – ricostruisce l’ordinanza – «è pubblico e raggiungibile da chiunque» e «risultava gestito da un bot, una sorta di risponditore automatico, un negozio virtuale nel quale i clienti in anonimato potevano effettuare un ordine, scegliendo la sostanza e il prezzo da un vero e proprio menu, impiegando la messaggistica». Viene spiegato il meccanismo: «All’accesso era collegato un bot che indicava le offerte, le modalità di consegna, la tipologia di sostanza, la qualità del prodotto e i relativi prezzi, variabili a seconda dei quantitativi richiesti». «Attraverso questi strumenti – prosegue il gip – gli indagati hanno creato un vero e proprio mercato virtuale di stupefacenti tale da escludere l’esistenza di colloqui fra i venditori e gli acquirenti, così da garantire l’impermeabilità del sistema». 

Il maxi-sequestro Nelle carte c’è un’intera sezione dedicata al maxi-sequestro di 53 chili di hashish in un garage di via Beatles a Castiglione del lago e di 30 mila euro in contanti, nascondiglio al quale gli inquirenti arrivano spiando le telefonate, gli sms e i vocali degli indagati che «a fronte di perdite» come i quattro chili sequestrati in tabaccheria e il carico sparito dal garage «non pensano minimamente di cessare la propria attività criminale ma cercano, anzi, il modo di arginare i problemi e ricominciare». 

Il giallo del secondo pacco Viene inoltre ritenuta «significativa» dal giudice l’intercettazione di un indagato: «La conversazione permette di capire come, oltre ai quattro chili sequestrati, manchi un altro pacco dello stesso peso che era ugualmente atteso ma che, non essendo stato sequestrato, non si capisce che fine abbia fatto e che la sua principale preoccupazione, in quel momento, era quella di gestire 40 chili di stupefacente nascosti in un garage».

Collegamenti Conclude il magistrato: «Gli indagati hanno dato dimostrazione di essere dediti pressoché esclusivamente al traffico e alla cessione degli stupefacenti, dal quale traggono evidentemente in parte o in tutto, il proprio sostentamento. Quello che emerge è uno stile di vita delittuoso, finalizzato a procurarsi lo stupefacente e a rivenderlo. Lo spessore criminale dell’associazione è testimoniato dall’entità complessiva dei sequestri effettuati, per oltre 57 chilogrammi, sequestri che, tuttavia, hanno avuto un peso relativo nell’attività criminosa, che è continuata, e a cui la compagine ha saputo far fronte. Quella posta in essere dai giovani indagati è una rete di collegamenti capillari, all’interno della quale ciascun soggetto ha un proprio compito, sotto le direttive del promotore principale, affiancati da collaboratori più stretti e da altri partecipi che fungono anche da corrieri al dettaglio». 

Interrogatori Domattina alle 10.30 si terranno gli interrogatori di garanzia in videocollegamnento con il giudice per le indagini preliminare. Gli indagati detenuti in carcere a Capanne sono difesi dagli avvocati Daniela Paccoi e Valerio Vitale del Foro di Roma.

Questo contenuto è libero e gratuito per tutti ma è stato realizzato anche grazie al contributo di chi ci ha sostenuti perché crede in una informazione accurata al servizio della nostra comunità. Se puoi fai la tua parte. Sostienici

Accettiamo pagamenti tramite carta di credito o Bonifico SEPA. Per donare inserisci l’importo, clicca il bottone Dona, scegli una modalità di pagamento e completa la procedura fornendo i dati richiesti.