Pubblichiamo qui di seguito la lettera che Stefano Bucaioni, presidente di Omphalos ha scritto al direttore del periodico cattolico La Voce, Daniele Morini. La lettera arriva dopo un importante editoriale che Morini ha scritto prendendo le distanze dalla destra cattolica oltranzista che, in Umbria è rappresentata da Pillon e ricordando il messaggio di Papa Francesco di una Chiesa che non giudica ma apre le braccia a tutti. Umbria24 ringrazia il presidente Bucaioni per avere scelto questo giornale come ‘luogo e dimensione’ per un dialogo possibile.

di Stefano Bucaioni
Caro Direttore,

Le famiglie sono vivissime e, a dimostrarlo, sono le piazze. Prendendo spunto dall’apertura del suo editoriale, mi sono permesso di declinarla al plurale, provando ad offrire il contributo della nostra comunità all’interessante riflessione che ho letto sulle pagine de La Voce. Parlare di “famiglie” anziché di “famiglia”, infatti, non è un espediente retorico per piantare una bandierina progressista nella discussione pubblica, ma il tentativo che la nostra comunità porta avanti da anni per tirar fuori il tema dal piano dell’ideologia e riportarlo dove dovrebbe stare: nelle piazze, nelle strade, sul piano della vita concreta delle persone. Un tentativo che, evidentemente, sta a cuore ad entrambi.

Ho seguito da vicino, per il ruolo che ricopro, l’evolversi delle polemiche attorno a questa edizione dell’Umbria Pride. Ho visto, per l’ennesima volta, i soliti personaggi politici rivendicare la rappresentanza politica della Chiesa umbra e utilizzare “la famiglia” come una clava con cui provare a schiacciare noi persone Lgbti+, i nostri diritti, le nostre famiglie e le nostre rivendicazioni. Ho assistito ai balletti, alle invettive e alle guerre di potere nel centro-destra umbro, che con le polemiche sul patrocinio alla manifestazione davano inizio alla guerra per un posto in lista alle prossime elezioni politiche.

Infine ieri ho letto il suo editoriale e sono rimasto colpito perché, tra le righe, ho scorto la sfida del dialogo e il coraggio di provare a sminare un terreno che per troppi decenni è stato un campo di battaglia sulla pelle di tante, troppe, persone. Ammirando quel coraggio ho deciso di accettare la sua sfida e di provare a offrire il contributo della mia comunità alla sua preziosa riflessione. Le piazze dell’Umbria Pride di sabato e dell’Incontro delle famiglie di domenica portano certamente visioni e interpretazioni diverse rispetto a temi importanti come quello delle famiglie, della sessualità, dell’autodeterminazione. Ma sono visioni che, come ci dimostrano la maggior parte dei paesi europei, possono convivere, arricchendosi reciprocamente, in uno stato laico come l’Italia. Uscendo dallo schema che ci impongono i nuovi “crociati” della destra, credo sia possibile immaginare una società in cui ogni persona possa contribuire al benessere collettivo con le proprie identità, con le proprie convinzioni e con la propria fede, senza rinunciare a se stessa e senza pretendere che gli altri rinuncino a loro stessi.

L’Umbria Pride, così come i tantissimi pride che si svolgono in Italia e nel resto del mondo, non ha mai avuto e mai avrà come bersaglio la “famiglia tradizionale”, tanto più che di “famiglie tradizionali” al Pride ce ne erano veramente tante, variamente composte e estremamente orgogliose. Piuttosto, il vero antagonista del Pride è chi utilizza la “famiglia” come un’ideologia dell’odio e dell’esclusione. Nessuna rivendicazione della comunità Lgbti+ contiene la censura o l’abrogazione dei diritti delle “famiglie tradizionali”. L’obiettivo delle nostre rivendicazioni, al contrario, è ed è sempre stato l’estensione di tali diritti alle tante e nuove formazioni familiari, per dar loro dignità e dare finalmente l’opportunità a tutte e tutti di vivere pienamente, felicemente e in armonia la propria identità, il proprio orientamento sessuale e le proprie relazioni.

Quegli attacchi che provengono dai Pride, e che spesso prendono come bersaglio proprio la Chiesa Cattolica, non sono altro che il diretto risultato di chi, rivendicando la rappresentanza politica della Chiesa, brandendo rosari e immagini sacre, perpetra un sistema di oppressione del quale, non possiamo nascondercelo, in passato la Chiesa Cattolica è stata direttamente responsabile. La comunità Lgbti+ ha sofferto ed è stata per secoli emarginata anche per mano della Chiesa, e un movimento di liberazione come quello dei Pride non può che passare anche da una denuncia, talvolta aspra, dell’oppressore.

Allo stesso modo, però, è responsabilità di tutte e tutti provare ad uscire dalle paludi della contrapposizione cieca, cercando con fatica un dialogo fondato sul reciproco riconoscimento e sul comune desiderio di costruire, ciascuno a modo proprio, una società migliore per tutte e tutti.

Le rispettive differenze certamente rimangono e probabilmente le ferite del passato non si rimargineranno fintanto che la Chiesa Cattolica non avrà il coraggio di chiedere perdono per il male che nei secoli ha compiuto, avallato o tollerato contro le persone omosessuali e transessuali. Per i roghi, per le condanne e per le “terapie riparative” che, purtroppo, ancora oggi vengono praticate in Italia e nel mondo. Il dialogo, tuttavia, potrebbe restituirci, oltre a ciò che ci divide, anche ciò che ci unisce. La cura del prossimo, l’accoglienza dei migranti, il sostegno di chi ha meno, il perdono di chi sbaglia, e anche la difesa delle famiglie, tutte, sottraendo finalmente questo tema dagli artigli della destra oltranzista e ipocrita per costruire una società migliore, più aperta, più inclusiva e, quindi, più felice.