Mauro Agostini (©️Fabrizio Troccoli)

Prosegue con l’ex dg di Sviluppumbria Mauro Agostini (in passato anche senatore, sottosegretario e primo tesoriere del Pd), la serie di interventi che Umbria24 dedica al futuro di Perugia. Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato quelli di Francesco ZuccheriniFrancesco Vignaroli, Giacomo Leonelli, Antonio Bartolini, Leonardo Caponi e Lucio Caporizzi.

di Mauro Agostini

Prendo le mosse per parlare di Perugia da una vicenda ternana, significativa. A fronte di una scombiccherata proposta dell’amministrazione comunale di riaprire la ztl si è alzato il no non solo del Pd ma – e qui sta la notizia – della Lega. Sottolineo con piacere questa posizione perché testimonia come le problematiche ambientali stiano cominciando a fare breccia in un partito che fino a oggi non sembrava sensibile a questi temi. Non altrettanto, purtroppo, avviene a Perugia. Ma è proprio dalla questione della transizione ecologica che ogni progetto credibile per il futuro della città deve partire. In primo luogo dalla mobilità dolce. Perché queste affermazioni non restino semplici e confortevoli dichiarazioni di principio, è dalle piccole cose che bisogna prendere le mosse. Il riformismo è tale se è riformismo delle piccole cose a cui guardare con lo sguardo lungo del progetto.

Il centro Che il centro storico sia paralizzato dalle auto lo abbiamo detto e scritto in diversi. Non ci torno sopra, tanto è evidente il fallimento della Giunta non solo nella rivitalizzazione del centro ma anche nella salvaguardia degli interessi delle attività commerciali. Lo ripeto, non è con la politica dei paletti (più elegantemente definiti “dissuasori”) che si risolve il problema, ci si applica ai sintomi ma non alle cause vere della malattia. Vorrei porre una domanda specifica in relazione alle scale “immobili” di Pellini/Priori. Il contratto con la società costruttrice prevede una qualche forma di penalizzazione per il ritardo dell’avvio del funzionamento dell’opera? Il collaudo completa l’opera, senza il quale è come se l’opera non esistesse. Ha già sollevato un problema analogo la Corte dei Conti a proposito del cosiddetto ospedale da campo. O i ritardi vengono messi a carico solo dei cittadini che non possono utilizzare il servizio? Ma con il centro storico la chiudo qui.

Equilibrio spezzato Il progetto innovativo per il futuro parte infatti da un altro cardine: il profilo complessivo della città nella sua dimensione interna e nei suoi rapporti con l’”esterno”. In altri termini una città compatta, in cui l’interrelazione tra centro e periferia viene sviluppata in direzione di una forte integrazione di servizi e di qualità della vita. Il centro si dice ha perso alcune sue funzioni, è vero, ma può recuperane altre, e spesso quelle funzioni hanno però arricchito zone diverse della città. È la problematica aperta, su ben altra scala, dalle proposte di Giuseppe Sala per la Milano del futuro. Perché la città possa essere, e sentirsi, come un unicum inscindibile c’è bisogno di una fittissima rete di comunicazione interna, flessibile e modulabile. È la domanda prioritaria degli studenti, delle giovani generazioni e di quelle più anziane: muoversi liberamente e in sicurezza. Un’intuizione che si manifestò anche negli anni Settanta che non sono solo gli anni delle scale mobili ma anche dei collegamenti tra le frazioni e il centro. La linea dell’autobus faceva sentire l’abitante delle frazioni e dei “ponti” non più marginale ma pienamente cittadino. La finanza pubblica lo consentiva. La crisi finanziaria degli enti locali e, diciamolo, la scelta del minimetro, spina rigida e irreversibile in una città che reclama flessibilità, hanno finito per rompere quell’equilibrio.

Il ferro Un equilibrio che non va ripristinato alla ricerca di antiche certezze da restaurare, ma che va costruito ex novo attraverso una soluzione di continuità con il passato remoto e con quello prossimo. E l’occasione c’è. Tra poco tempo, forse dodici/diciotto mesi, la stazione di Sant’Anna può diventare il nuovo hub per l’ingresso in città. A differenza del minimetro, intercetterà la corrente largamente prevalente del traffico in ingresso attraverso quello che diventa lo snodo fondamentale di Ponte San Giovanni, che andrà adeguatamente attrezzato. Dal piazzale di Sant’Anna, impreziosito dal gioiellino architettonico dell’edificio della stazione, si può irraggiare la mobilità delle persone con le scale mobili e i mezzi elettrici. E delle cose attraverso piccoli mezzi di consegna da ultimo miglio. Liberando il centro dall’aggressione di autobus sproporzionati e sottoutilizzati e dai veicoli commerciali che stazionano addirittura al mattino in corso Vannucci. Un collegamento elettrico tra la stazione di Fontivegge e il Turreno, il percorso della vecchia tramvia insomma, darebbe un ulteriore contributo al disegno soprattutto se effettivamente si investisse nel progetto di collegamento con l’ospedale attraverso il cosiddetto Brt. Sul quale mi permetto di dare un consiglio non richiesto a Andrea Romizi: l’acronimo anglicizzante può fare fico ma non dimentichiamo che è anche quello di un importante società di trasporti. Un progetto che se realizzato potrebbe anche restituire un qualche ruolo al minimetro.

Cva digitali L’altro elemento strategico che vedo, sempre al fine di dare tessuto all’unicum urbano, è quello di un “arcipelago di piazze”. Alcune già esistenti, altre da individuare o da rivitalizzare. Luoghi di fornitura di servizi informatici e digitali, di formazione contro il digital divide, di socializzazione e di libera espressione dell’associazionismo civico. Insomma i Cva digitali degli anni Trenta di questo secolo. Non aggiungo altro né sulla residenzialità, di cui ho parlato più volte, né sul polo della conoscenza di cui hanno detto cose del tutto condivisibili Antonio Bartolini e Lucio Caporizzi. La massa critica della conoscenza, questo mi sento di sottolineare, quell’accumulo di competenze imprescindibile per l’innovazione in tutti i campi, non può essere costituito solo da soggetti pubblici ma deve vedere un coinvolgimento effettivo dei centri di ricerca delle grandi imprese e delle entità private. Il contributo delle istituzioni locali al Piano nazionale di ripresa e resilienza dovrebbe vertere su alcuni di questi assi strategici piuttosto che su una miriade di progetti slegati e datati. La transizione ecologica può e deve cominciare dalle città. È il tempo del coraggio delle scelte radicali. Perugia ha tutte le caratteristiche per diventare un contenitore multisociale, multiculturale, multietnico a prescindere dalla distanza tra il quartiere in cui si vive e Palazzo dei Priori. Ha scritto Richard Rogers, architetto anglo-italiano, che la città compatta è quella dove si può camminare, si può parlare e ci si può conoscere. Un luogo in cui a ognuno di noi piacerebbe vivere.

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