Vincenzo Sgalla, segretario generale della Cgil dell’Umbria

Prosegue con il segretario generale della Cgil Umbria, Vincenzo Sgalla, la serie di interviste che Umbria24 dedicherà, da qui alle regionali del 27 ottobre, ai protagonisti della vita economica, sociale e culturale della regione. Un’occasione per discutere dei temi e dei problemi che riguardano la vita degli umbri.

di Ivano Porfiri

Segretario, il 27 ottobre si arriva al voto anticipato dopo l’interruzione traumatica della legislatura conseguente a Concorsopoli. Che Umbria è quella che si prepara a scegliere il suo nuovo presidente?

«Concorsopoli, per quanto grave, è a mio parere solo un epifenomeno della crisi della sinistra di governo in Umbria. I segnali del declino erano molto chiari anche prima dell’inchiesta, per chi li voleva vedere: crollo del Pil regionale, impoverimento della classe media, bassi salari e lavoro precario, un tasso di disuguaglianza crescente. E quale è stata la risposta della classe dirigente della sinistra umbra di fronte a questo quadro? Tutti (o quasi) per il jobs act. Una Caporetto politica».

INTERVISTA A ANTONIO ALUNNI

I dati su economia e occupazione in questi anni hanno mostrato una regione che più di altre ha sofferto la crisi. Cosa non ha funzionato nel governo? Il sindacato si assume parte della responsabilità?

«Certo, anche noi abbiamo le nostre responsabilità, ce le ricordano tutti i giorni le migliaia di persone in difficoltà che vengono nelle nostre sedi e ci chiedono di fare di più e essere all’altezza della nostra storia. Tuttavia, vorrei ricordare le tante iniziative messe in campo, in particolare dalla Cgil, in difesa del lavoro, dei diritti, a partire dall’articolo 18, il nostro Piano del Lavoro, la nostra Carta dei Diritti universali sostenuta da tre milioni di firme. Iniziative accolte purtroppo con battute sprezzanti dai dirigenti politici, anche di centro sinistra, che ci hanno bollati come quelli del gettone nell’iPhone. Il fatto, vede, è che il sindacato ha senz’altro grandi responsabilità, ma non governa. Strumenti, potere e anche stipendi – me lo lasci dire – sono molto diversi».

Quali sono le priorità che porrete sulla scrivania della nuova maggioranza politica che guiderà la Regione?

«Insieme a Cisl e Uil da tempo ci siamo posti l’obiettivo di avanzare proposte, chiedendo di cambiare marcia nella nostra regione a partire dal lavoro. Ogni euro pubblico che va alle imprese – abbiamo detto – deve generare lavoro di qualità. E, si badi bene, i finanziamenti pubblici ci sono stati e ci saranno anche nei prossimi anni. Quello che è mancato e che serve come il pane è un progetto per l’Umbria, condiviso, partecipato e innovativo. Un nuovo modello di sviluppo basato su lavoro di qualità, innovazione tecnologica, sostenibilità ambientale e welfare».

In Umbria le micro imprese ammontano al 78,5% del totale e creano il 12,7% del valore della produzione, le grandi sono solo l’1,3% e creano il 42% del valore. Può reggere e creare lavoro questo sistema?

«In questi numeri c’è la fotografia dei limiti e dei problemi dell’economia umbra. Un modello industriale in cui prevale il piccolo e dove permane una scarsa attitudine alla crescita e all’innovazione. Questo modello, da almeno dieci anni, è andato in crisi e nessuno ha avuto la capacità o – se vuole – l’umiltà di costruirne uno alternativo. Tutti sanno che siamo all’inizio di una nuova era industriale, quella 4.0 della digitalizzazione, chi vuol governare l’Umbria deve avere un nuovo modello di sviluppo economico in testa e conseguentemente un’idea di società da costruirci attorno, esattamente come hanno fatto i nostri padri e le nostre madri negli anni ’60».

Confindustria parla di riforma della PA, infrastrutture e formazione per far ripartire lavoro e crescita. Vede un clima di collaborazione tra le parti sociali in questo senso?

«Lo ritengo indispensabile. Stiamo andando al rinnovo dei principali contratti nazionali, Confindustria e le altre controparti devono favorire aumenti salariali adeguati, anche per far ripartire l’economia nazionale e regionale. In più, credo sia giunto il momento per dire che l’idea della disintermediazione e del rapporto diretto con i cittadini è stata un grave errore e non ha prodotto nessun risultato. La Cgil è pronta a confrontarsi a viso aperto con chi ha voglia di creare lavoro di qualità».

Il centrosinistra dovrebbe presentarsi con uno schieramento inedito, con una candidatura di stampo civico. E a livello nazionale con una possibile alleanza col M5s. Come giudicate questa evoluzione del quadro politico?

«Nella prima parte dell’anno abbiamo fatto diverse iniziative unitarie chiedendo al Governo giallo-verde di cambiare politiche. Chiederemo altrettanto al nuovo Governo, soprattutto su investimenti e fisco. Da lì capiremo le intenzioni della nuova maggioranza. In Umbria, stiamo preparando una serie di domande esemplificative di quelle che riteniamo essere le priorità per la nostra regione. Sullo sfondo, naturalmente, restano i nostri valori a difesa della Costituzione, antifascista e antirazzista, ma per il resto valuteremo nel merito le proposte dei candidati. Sullo “stampo civico” non le rispondo, perché non ho capito esattamente cosa sia».

Un’altra statistica negativa è quella sui morti e feriti sul lavoro. Come può incidere la Regione per limitare questa piaga?

«Dice bene, si tratta di una piaga da debellare. Negli ultimi mesi, dopo la nostra mobilitazione e anche grazie all’intervento del cardinale Bassetti e alla sensibilità dei prefetti di Perugia e Terni, abbiamo avviato un percorso per predisporre un piano d’intervento straordinario, aumentare controlli e risorse e favorire la prevenzione. La sicurezza è un diritto fondamentale e ci sono metodi e strumenti per poterla garantire».

A intervalli abbastanza regolari si torna a parlare di macroregione: oggi, con processi che si articolano a livello nazionale e sovranazionale, ha ancora un senso discutere di questi modelli?

«Claudio Carnieri mi ha raccontato tempo fa che Piero Conti, grande sindacalista e primo presidente dell’Umbria, sosteneva già negli anni Sessanta che nessun modello di sviluppo può essere efficace se non è accompagnato da un valido modello amministrativo di sostegno. È per questo che nel 1970 nacquero le Regioni. Dunque, ha certamente senso discutere oggi di nuove soluzioni amministrative che siano in grado di dare più forza ai nostri territori, nel contesto europeo. E noi siamo pronti a confrontarci con chi crede che sia necessario avere politiche comuni, per fare massa critica nella competizione globale. Intanto, però, c’è da stoppare quel progetto pericoloso che è l’autonomia differenziata, che, così come è stata immaginata dalla Lega e da alcune regioni, non sarebbe altro che la secessione dei ricchi».

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