Il neodeputato Prisco e il sindaco Romizi

di Daniele Bovi

Da lunedì mattina sotto Palazzo dei Priori, sede del Comune di Perugia, c’è una ruspa parcheggiata e il problema è capire come sistemarla dentro. Fuor di metafora, il giorno dopo le elezioni la città (e chi la amministra) si è svegliata con una Lega oltre la soglia del 17 per cento, primo partito del centrodestra non rappresentato in consiglio dopo l’uscita di Michelangelo Felicioni. Nel 2014 la Lega, ancora nel pieno degli scandali tra diamanti della Tanzania e avventure del Trota e del resto della famiglia Bossi, non aveva neppure presentato una sua lista nel capoluogo mentre ora, meno di quattro anni dopo, in città vale oltre 15 mila voti, cioè gli stessi di Forza Italia e Fratelli d’Italia messi insieme – i due partiti che rappresentano l’architrave politico della giunta – mentre il centro si è inabissato nella Fossa delle Marianne dello zero virgola.

COME HANNO VOTATO LE 41 ZONE DI PERUGIA

La ruspa in corso Vannucci I Fratelli domenica hanno ottenuto circa 3 mila voti in più rispetto al 2014 mentre i forzisti ne hanno presi esattamente gli stessi, o giù di lì: 9.865 quattro anni fa e 9.565 il 4 marzo. Fare un confronto diretto tra politiche e comunali, regolate da meccanismi elettorali molto diversi, ha senso però solo fino a un certo punto: alle seconde ci sono tantissimi candidati a battere palmo a palmo il territorio, c’è il voto disgiunto, la qualità delle persone conta in modo decisivo, i cicli politici oggi sono brevi, pesa il giudizio su come è stata governata una città, ci sono molte liste civiche a rappresentare questo e quel mondo e via così; soprattutto, vista la grande mobilità di una parte consistente dell’elettorato, ogni appuntamento ormai fa storia a sé e non è certo che la fiammata leghista si ripeta anche nel 2019 per la scelta del sindaco.

La Madonna del giro Però una volta messi tutti i puntini sulle «i», spaccati i capelli in quattro e in otto, sottolineate differenze, indicati i ma e i forse, c’è un fatto politico: la ruspa salviniana rimane lì e questo per il momento muta gli equilibri. In epoca di democrazia del leader il vero capitale politico della giunta – e di questo i più avveduti ne sono consci – è proprio Romizi con la sua figura, in queste settimane elettorali apparso su foto, santini e appuntamenti del centrodestra più e meglio della Madonna del giro; corpo, sangue e immagine del centrodestra dal volto umano che ha ‘convertito’ Palazzo dei Priori dopo decenni. È lui con la sua stessa presenza e anche con la sua capacità di coprire le mancanze della sua giunta il vero capitale politico sul quale il centrodestra deve investire.

L’altra ipotesi In questi anni il romizismo si è caratterizzato anche per un certo low profile, poca politicizzazione, volontà di comunicare un’impronta civica, nessuna rottura radicale con i tanti mondi che abitano la città. È lui – confessa chi ne vede da vicino l’azione – a parlare direttamente con la città, senza mediatori. In vista di un ipotetico bis nel 2019 come si concilierà tutto questo con la ruspa leghista? Quali le conseguenze di quel 17 per cento sugli equilibri interni della coalizione, sull’immagine stessa del governo cittadino, sul programma e così via? Sono temi veri e tutti sul tavolo, dato che un qualsiasi scenario non potrà prescindere da un confronto con la Lega. Dentro Forza Italia nelle settimane passate qualche colonnello metteva sul tavolo anche un’altra possibile ipotesi, che presenta comunque dei rischi: niente ricandidatura nel 2019 per puntare tutto pochi mesi dopo su palazzo Donini, sede di quella giunta regionale che è il prossimo obiettivo messo nel mirino dal centrodestra umbro spinto dal turboleghismo, il quale in alternativa potrebbe anche lanciare nella corsa Donatella Tesei.

Twitter @DanieleBovi

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